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 lunedì 30 luglio 2012

ILVA Taranto. Quale futuro per la città?

Come saprete esiste un provvedimento di sequestro dell'impianto ILVA a Taranto.
Per chi tratta di 'ambiente', sviluppo ecosostenibile, green economy è un momento importante di riflessione e approfondimento.
Da un lato la salute dei cittadini, una economia ed un territorio devastato con la negazione di uno sviluppo vocato al mare, al turismo, all'agricolturo, alla itticoltura... dall'altra la perdita di lavoro per migliaia di lavoratori disperati e sfruttati ai quali non gli si può dire di trasformarsi in qualcos'altro da un giorno all'altro,
In mezzo una classe imprenditoriale rapace e assassina; una classe politica immobile per ignavia o corruzione (come dimenticare il populismo di Cito e il dissesto finanziario del comune?); i sindacati che apparentemente si pongono in mezzo tra la difesa dell'occupazione e la salvaguardia della salute ma che in realtà pendono nettamente per la 'difesa' del lavoro diventando complici ed alleati del 'padrone'.
Come è consetudine in Italia c'è voluta la magistratura a fissare dei paletti una volta dimostrato, senza ombra di dubbio, come se ce ne fosse ancora bisogno, che l'ILVA uccide... e tanto. Uccide direttamente, lentamente, inesorabilmente... le persone, l'economia, il territorio intero, il futuro.
In questo post cercherò di tenere aggiornata la situazione... si tratta del nostro futuro.
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http://www.nuovaresistenza.org/2012...#more-156797

Taranto, cercando un futuro – E – il mensile online
Pubblicato 30 luglio 2012 | Da ken sharo

Christian Elia

La decisione, secondo fonti di stampa, dovrebbe arrivare nel giro di poche ore. Il gip Patrizia Todisco, avrebbe firmato il provvedimento di sequestro (senza facoltà d’uso) degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto, oltre a disporre misure cautelari per alcuni indagati nell’inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici dell’azienda.

Tra la polvere delle carte bollate, restano tracce del ricatto occupazionale: gli operai sono scesi in strada per urlare la loro disperazione. “Chiederò che il provvedimento di riesame avvenga con la massima urgenza”, fa sapere il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. “Verrà affrontata l’emergenza per almeno 15mila persone in seguito a iniziative della magistratura che sta procedendo al sequestro e a altre misure cautelari”.

I sindacati, come si è già osservato in altre occasioni, sono in mezzo al guado: si mobilitano e lottano per salvare i posti di lavoro a rischio, pur consapevoli che ogni giorno, quel cartellino timbrato, può essere una tacca, una stazione di passaggio verso la malattia, la morte, il dolore di genitori, figli e coniugi. Ma senza lavoro come si fa? Frasi ascoltate all’Eternit di Casale Monferrato e altrove: ”Posso ammalarmi oppure no, ma di fame muoio di sicuro”.

La politica, in imbarazzo. Il governatore della Puglia, Nichi Vendola, che tra le promesse della campagna elettorale del suo primo mandato aveva parlato al cuore di Taranto, promettendo un futuro. Ora il governatore, in un tavolo tecnico con il ministero, si affretta a trovare soluzioni che fino a quando non si è palesato l’intervento della magistratura erano rimaste lettera morta.

Perché in fondo Taranto è una città ferita, dove l’Ilva e i suoi morti sono solo l’ultimo di una serie di dolori imposti a una città che ha sempre avuto nel suo mare, nei suoi due mari, il suo senso. Una città che più di altre ha vissuto il boom dell’Italia che si sognava grande potenza industriale, svegliandosi nell’incubo della crisi e dell’inadeguatezza. Quell’Italia che straparla di Tav e ponte sullo Stretto di Messina, ma dove per un viaggio da Bari a Reggio Calabria in treno vanno messe in conto undici ore.

Taranto sembra una polaroid, di un modello in scala. Un’Italia in miniatura, di quelle buone per famigliole e turisti in gita. Il comune, nel 2006, si sveglia fallito. Il più grande dissesto finanziario di un ente locale, un buco di quasi 500 milioni di euro, un sindaco travolto dagli scandali, stipendi d’oro che hanno arricchito un clan di burocrati, un prefetto nominato a governare quella Puglia diventata famosa per Giancarlo Cito, osceno mix tra populismo e fascismo accattone.

Un disavanzo di oltre 83 milioni di euro nel 2004, lievitato a quasi 138 milioni nel 2005. I debiti fuori bilancio sfioravano i 150 milioni. Gli oneri latenti sono di quasi 160 milioni di euro. Il commissario straordinario stima con precisione il “buco” fra i 446 e i 447 milioni. Con un trucco le voci passive le hanno trasformate in attive, i debiti in crediti, nelle entrate sono finite le voci “uscite” delle partecipate e voci incerte come quelle dei tributi ancora non riscossi. Una contabilità taroccata dal primo all’ultimo numero. Anche il calcio ci si mette. Una bufala illude una città intera, con una voglia matta di un sorriso. Si parla di ripescaggio, di serie B. Invece è solo un’altra beffa.

Ruberie, politici capaci di distruggere e mai di costruire, il lavoro svanito salvo tenerselo stretto a costo della salute. E ti resta solo da guardare quel che resta della Magna Grecia. Il porto, il cuore, che potrebbe finire in mano ai cinesi. Ma forse si tirano indietro pure loro, spaventati da promesse di infrastrutture, leggi che bloccano la crescita, ma che non riescono a proteggere nessuno dalla corruzione e dal furto. Si aspetta la decisione del gip. Si aspetta un domani differente. Buona fortuna Taranto.
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http://www.ilsole24ore.com/art/noti...uid=AbahiiGG

Ilva Taranto, al via la procedura per il sequestro degli impianti
30 luglio 2012

Con l'arrivo a Taranto dei custodi nominati dal gip, sono di fatto cominciate le procedure per eseguire il sequestro di sei impianti dell'area a caldo dell'Ilva disposto dalla magistratura giovedì scorso. I tecnici sono incaricati dal gip di «avviare le procedure tecniche per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento».I sindacati chiedono di incontrare l'azienda. Intanto, per «impegni sopravvenuti», è stato rinviato a data da destinarsi l'incontro che il presidente dell'azienda Ferrante avrebbe dovuto avere con il procuratore di Lecce. Il Codacons ha presentato la denuncia contro i ministri dell'Ambiente e della Salute. Parte oggi l'azione di risarcimento in favore dei cittadini.

L'incontro con i dirigenti dell'Ilva
I quattro custodi sono giunti all'interno del siderurgico attorno a mezzogiorno; stanno incontrando la dirigenza dell'Ilva, per stabilire le procedure di chiusura degli impianti, che richiederanno tempi lunghi. I custodi giudiziari sono stati incaricati di sovrintendere alle procedure, osservando «le prescrizioni a tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica e a tutela dell'integrità degli impianti».

Odg del Comune: cabina di regìa per Taranto
Sulla questione dell'Iva è intervenuto anche il comune di Taranto: Il consiglio ha approvato un ordine del giorno riguardante la «preoccupante situazione ambientale e produttivo-occupazionale verificatasi in seguito alle vicende dell'Ilva». Nel documento si impegna il sindaco a compiere tutti gli atti necessari, tra cui l'attivazione di una «cabina di regia per Taranto», per il governo del territorio e quindi dell'ambiente in una visione equilibrata che coniughi il diritto al lavoro con quello alla salute entrambi costituzionalmente garantiti. Nel documento, che è stato approvato con 23 voti a favore, due astenuti e tre contrari (gli ambientalisti chiedevano un documento più incisivo) si impegna il sindaco a «vigilare sul pieno e puntuale rispetto degli accordi e degli impegni pubblici oltre a quello della parte privata informando costantemente il Consiglio comunale affinchè possa seguire gli sviluppi della questione Ilva».

Confindustria e istituzioni locali: non si chiuda la fabbrica
«L'Ilva di Taranto non può essere chiusa ma bisogna procedere concretamente sulla strada che salvaguardia la produzione e il lavoro con la difesa dell'ambiente e della salute». Lo hanno ribadito oggi, in un'assemblea congiunta, Confindustria e rappresentanti politici e istituzionali, amministratori locali e parlamentari. Questi ultimi hanno chiesto a Confindustria di predisporre un documento in modo da portarlo poi all'attenzione del Governo. L'associazione delle imprese ha anche chiesto di essere più attivamente coinvolta ai tavoli nazionali che
affrontano il caso Taranto. «C'é grande preoccupazione, vogliamo confrontarci con tutti, essere attori e protagonisti di quello che avverrà nel nostro territorio», ha affermato Enzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto. «Le aperture del presidente Ferrante sono positive - ha continuato - le apprezziamo. Sono sicuro che così si creeranno le condizioni per evitare lo stop dello stabilimento di Taranto».
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http://bari.repubblica.it/cronaca/2...va-39940065/

Ilva, il piano per spegnere gli altiforni ma la Procura per il momento frena
Ci vogliono dai sette ai dodici mesi per completare la procedura. Tra costi altissimi e pericoli di esplosioni
di GIULIANO FOSCHINI

C’è un punto esatto dal quale parte la nuova storia dell’Ilva. Quel punto è a pagina 295, l’ultima, del provvedimento di sequestro dell’impianto firmato dal gip Patrizia Todisco. In quelle righe il giudice consegna lo stabilimento a tre custodi. Si tratta di dirigenti dell’Arpa che dovranno procedere allo spegnimento dell’impianto. Ecco, quei tecnici al momento non hanno ancora preso l’incarico. Non li ha chiamati nessuno. Evidentemente nessuno, nemmeno la Procura, vuole arrivare allo spegnimento dell’impianto. Però vuole controllarne la nuova vita, evitando che si continui a fare come si è fatto sino a oggi: «La mattina rispettavano la legge e la notte la violavano» per usare le parole del procuratore generale, Gaetano Vignola.
Ma
è dal provvedimento di sequestro che bisogna partire per spiegare la nuova vita dell’Ilva. «Per tutti gli aspetti tecnico- operativi - scrive il giudice nel decreto di sequestro - gli ingegneri dell’Arpa Barbara Valenzano, Emanuele Laterza e Claudio Lofrumento i quali avvieranno immediatamente le procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti sopra indicati, sovrintendendo alle operazioni e assicurandone lo svolgimento nella rigorosa osservanza delle prescrizioni a tutela della sicurezza e incolumità pubblica e a tutela della integrità degli impianti». Dovranno essere questi tre ingegneri quindi, almeno sulla carta, a dover spegnere l’impianto. Una procedura che durerebbe dai sette mesi a un anno. «Al netto dei guasti - ha spiegato il professor Carlo Mapelli, docente di Metallurgia al Politecnico di Milano, al sito siderweb. com - il tempo per rimandare a regime l’area a caldo sarebbe tra i sei e gli otto mesi».
Per spegnere un’acciaieria come l’Ilva non si chiude un rubinetto. Né basta muovere una manovella. Lo stabilimento pugliese è il più grande d’Europa, si estende su una dimensione due volte Taranto. Producono acciaio per mezza Europa: come? Nella cockeria viene inserita la materia prima, il carborne fossile, che viene trasformato in carbon coke. Il coke insieme con il calcare e il minerale di ferro viene inserito nell’altoforno dal quale viene fuori la ghisa liquida. E quindi l’acciaio. Taranto produce circa 10 milioni di tonnellate di accaio, a fronte delle 29 complessive che vengono prodotte in Italia. È un terzo dell’intero mercato. Comunque, per spegnere la cokeria servono dai due ai quattro mesi, dicono i tecnici: bisogna spegnere i circa 200 che si trovano uno dopo l’altro e che compongono la batteria. Quando anni fa fu ordinato il sequestro delle cockerie, i Riva di fatto non spensero mai i forni ponendo tutta una questione di natura tecnica tant’è che la magistratura per essere sicura che si bloccasse la produzione fu costretta a sequestrare direttamente il carbone, la materia prima.

E soprattutto proprio su quel reparto i Riva avrebbero fatto i minori investimenti. Un motivo, sospettano gli investigatori, c’è. E anche in questo caso sarebbe da individuare nella volontà dei Riva a non spendere troppo denaro. Un impianto del genere ha un ciclo di vita di circa 40 anni. Non conviene intervenire quindi per ambientalizzarlo, quanto piuttosto tirare il più possibile, portarlo all’esaurimento e magari poi realizzarne uno nuovo oppure delocalizzare dove la produzione costa di meno e ha meno paletti. Un mese all’incirca servirebbe invece a spegnere ciascuno degli altiforni, che sono alti circa 40 metri e larghi 15. Lavorano tutti i giorni dell’anno, 24 ore su 24 e anche quando ci sono gli scioperi vengono comunque tenuti in funzione. Spegnerne uno può significare un impegno di spesa di circa 200 milioni di euro.

Il vero problema per un’operazione di questo tipo arriva però dalla sicurezza. Tragicamente e, paradossalmente, spegnere l’Ilva può essere anche più pericoloso che farla continuare a lavorare. Avviare le modalità di spegnimento potrebbe far collassare uno degli altiforni, provocando un’esplosione devastante. Stessa cosa nelle operazioni di spegnimento della cockeria. Tutto questo rimarrà probabilmente, però, soltanto sulla carta visto che difficilmente (al di là delle decisioni che verranno prese la prossima settimana dal tribunale del Riesame) la magistratura chiederà ai tre tecnici dell’Arpa di procedere allo spegnimento. Più possibile invece che verrà chiesto loro una serie di procedure per la riduzione della produzione o comunque per il controllo continuo, e questa volta reale, delle emissioni.
(29 luglio 2012)
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la posizione del WWF

la posizione del wwf...
ILVA di Taranto: il sequestro dopo 20 anni di inerzia
27/7/2012 - Ora si stringa un patto di ferro contro inquinamento e per la riconversione industriale

Dopo il recentissimo sequestro dello stabilimento dell’ILVA di Taranto non si ricada nell’errore di separare la questione ambientale dalla questione occupazionale, pensando che le soluzioni possano essere disgiunte, ricorda il WWF Italia e si stringa un patto di ferro che da una parte diminuisca l’inquinamento e parallelamente porti avanti la riconversione industriale.

La magistratura, venti anni dopo l’inizio del caso, con il sequestro ha attuato un atto dovuto dopo lunghissime indagini e perizie. Certamente tutto ciò doveva arrivare ben prima, visto che l’area industriale dell’ILVA è stata dichiarata prima sito a alto rischio ambientale e poi sito di bonifica di interesse nazionale senza che, prima di tutto la proprietà, avviasse un processo di risanamento e riconversione industriale.

Il ricatto occupazionale per troppi anni ha avuto la meglio sull’impatto ambientale che è ricaduto sulla città. Come richiesto dal WWF in precedenza, meglio sarebbe stato se l’autorizzazione unica ambientale rilasciata congiuntamente da molti enti, tra cui il Ministero dell’Ambiente e la Regione Puglia, fosse stata data chiedendo in via preventiva interventi di riduzione degli impatti.

Oggi la strada si fa più difficile e inevitabilmente occorre oggi garantire l’aspetto sociale e quindi l’occupazione purchè si abbia l’assoluta certezza che sin da subito si pongano in essere procedure e misure per diminuire emissioni e carichi inquinanti, purchè si riprenda con forza il tema della riconversione dello stabilimento che in assenza di alternative ha purtroppo il destino segnato nell’ambito di un mercato globale.

Su queste vicende sempre alta è stata l’attenzione del WWF, che aveva depositato un ricorso avverso l’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dal Ministero dell’Ambiente a favore dello stabilimento tarantino, ritenendolo carente degli strumenti burocratici, tecnici e tecnologici idonei a garantire l’ambiente e quindi la salute dei cittadini. Nel pieno rispetto dei principi di precauzione, integrazione ambientale e dell’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, il WWF ha sempre richiesto un concreto abbattimento delle emissioni prodotte dalle cokerie tarantine, un campionamento continuo e “a monte” della produzione di diossina, nonché ulteriori, più incisive, prescrizioni a tutela della salubrità ambientale della città di Taranto e della regione tutta. Recentemente il WWF si è costituito parte offesa al processo per all'inquinamento generato dagli impianti ILVA, incaricando l'avvocato Francesco Di Lauro per la difesa legale.
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http://ferdinandodubla.blogspot.it/...olitico.html

il punto di vista del Partito dei Comunisti Italiani...sabato 28 luglio 2012
ILVA di Taranto: il documento politico del PdCI

Tanti sono i soggetti che hanno la responsabilità della situazione ambientale di Taranto, a cominciare dal ruolo svolto dalla Marina Militare con le attività dell’arsenale e continuando con l’impatto di insediamenti industriali: Raffineria, Cementir e Italsider, oggi Ilva, di proprietà del gruppo Riva.
A tutto questo va aggiunta la responsabilità di tanta parte politica, quella più conservatrice che ha governato il paese e amministrato la città, che ha permesso per lunghi anni a questi soggetti imprenditoriali di fare i propri affari senza tener conto della compatibilità ambientale delle loro attività produttive.
Nello specifico, l’impennata dell’inquinamento coincide con il passaggio della proprietà della grande fabbrica dall’Iri al gruppo Riva, passaggio avvenuto in modo quanto meno strano tant’è che ancora oggi non se ne conoscono chiaramente le modalità e il costo reale.
Tutto questo ha permesso a Riva di operare senza un sostanziale controllo continuando a produrre per diciassette anni ubbidendo solo alle leggi di un mercato senza regole, sacrificando alla logica del profitto i lavoratori, la popolazione e l’intero territorio tarantino.
Riva ha messo in atto una politica di intimidazione prima e poi di attacco alla classe operaia, ai suoi diritti, al suo sindacato e perfino agli stessi valori della democrazia, sanciti nella carta costituzionale circa il ruolo sociale della proprietà e dell’iniziativa imprenditoriale privata.
Non si può dimenticare l’infamante palazzina Laf, nella quale vivevano reclusi un centinaio di lavoratori che reclamavano solo rispetto dei propri diritti e dignità, c’è voluta la magistratura e non l’azione di altri a cui spettava il dovere di farlo."
Così oggi, di fronte ad un padrone che rifiuta il confronto con le rappresentanze dei lavoratori la magistratura interviene avendo preso atto di elementi che denunciano le responsabilità dell’azienda del disastro ambientale.
Né Riva può strumentalmente utilizzare i lavoratori per attaccare l’operato della magistratura o per sottrarsi agli adempimenti per abbattere le emissioni attraverso gli investimenti necessari su innovazioni tecnologiche.
Il problema non si risolve con la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva, si tratta invece di capire che è giunto il momento di rivendicare la modifica degli impianti attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori per le responsabilità politiche, manageriali e operative.
La chiusura di una parte importante dello stabilimento di Taranto avrebbe ricadute disastrose perfino sulla tenuta occupazionale e delle attività del porto.
Taranto deve diventare un caso Nazionale: occorre quindi che il governo produca un piano di bonifica del territorio e della fabbrica e non solo di riqualificazione ambientale; esso deve interessare la messa sotto controllo delle emissioni di tutte le attività produttive.
Occorre che la classe operaia sia rappresentata con forza dalle organizzazioni sindacali nella trattativa e nel controllo delle misure adottate dal piano.
Occorre che le istituzioni: Regione, Provincia, Prefettura, Comune diventino soggetti di confronto con Ilva e di controllo del territorio sulle emissioni attraverso l’uso delle strutture pubbliche preposte come ARPA che devono vigilare con gli strumenti del caso ventiquattro ore su ventiquattro.
I comunisti Italiani, preoccupati della situazione di scontro determinatasi, sono al fianco dei lavoratori per la difesa del posto di lavoro ed esprimono solidarietà al Sindaco Stefàno condividendone a pieno la impostazione politica per la soluzione del problema
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http://www.ilmanifesto.it/attualita.../mricN/8167/

A Taranto sono tre le città da recuperare
Franco Arminio 30.07.2012

L'apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile.

Taranto è una città apocalittica, è un'apocalisse grigia, a lento rilascio. C'è una fabbrica che si è presa il mare, la terra, il cielo della città e adesso si prende anche il lavoro. Bisogna fermarsi e ragionare, si può enfatizzare l'importanza del lavoro o quella della salute, comunque siamo di fronte a un vicenda cruciale.
L'apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile. Una storia di trasformazioni che hanno cambiato il volto dell'Italia, ma non i rapporti tra dominati e dominanti.
Gli operai di Taranto provengono spesso dalle campagne ioniche, spinti dal mito del posto fisso. Negli anni sessanta in quella che allora si chiamava l'Italsider andò a dir messa anche il papa. E valenti documentaristi filmavano una fabbrica che aveva nella sua grandezza il suo mito. Insieme all'industria è cresciuta la città nuova, i negozi, gli uffici del terziario. Tutto si è mosso in un direzione che pareva di avanzamento e che col passare del tempo si è configurata come un abbraccio mortale, da città sviluppata a città impolverata: la fabbrica, il quartiere Tamburi e il cimitero, uno a fianco all'altro.
Ora la faccenda non può essere risolta con un intervento pubblico teso a rendere la fabbrica meno nociva. E bisogna sempre considerare che magari fra vent'anni scopriremo che era inaccettabile ciò che adesso consideriamo accettabile. In ogni caso il punto di partenza deve essere la condizione degli operai. Perdere il posto è una beffa ulteriore e insopportabile. Ed è singolare che lo stesso padrone abbia una fabbrica al sud che inquina il doppio di quanto inquina al nord.
Forse è la stessa logica che porta il padrone a indennizzare gli operai vittime del petrolchimico di Marghera e non di quello di Brindisi. La stessa logica che ha portato a riempire di rifiuti tossici le campagne del casertano e di tanti altri luoghi del sud: c'è sempre stato qualcuno, camorrista o semplice cittadino, che ha pensato al denaro più che alla salute, anche perché il denaro si prende subito, le malattie arrivano più lentamente.
A Taranto non c'è solo la fabbrica, c'è anche un meraviglioso museo archeologico, c'è una città vecchia sopra un'isola. È lecito chiedersi se è giusto mettere soldi su una fabbrica che non sarà mai innocua: l'acciaio non si fa coi guanti bianchi. È lecito chiedersi se non è il caso di orientare l'investimento anche in un grande piano di recupero del centro antico, per restituire alla Puglia e all'Italia un luogo importante.
È veramente il caso di spendere bene il tempo. Per studiare interventi migliorativi, ma anche per capire che la città deve da subito ricostruire le macerie del suo centro storico: nessuna città italiana ha un centro che sembra reduce da un bombardamento. Ci vuole una politica all'altezza di un luogo straordinariamente bello e complesso: c'è la fabbrica, ci sono gli operai, ma ci sono anche i contadini intorno alla città, anche loro hanno un lavoro, anche loro hanno diritto a essere tutelati. E hanno diritto a essere tutelati i bambini e gli anziani di Taranto. E anche gli ipocondriaci: le persone che tendono a sviluppare malattie immaginarie trovano tutte le condizioni per accrescere le proprie ansie. Se una mattina ti svegli con un linfonodo ingrossato fai presto a pensare che il tumore è venuto a visitare pure a te, fai presto a pensare che non è stato fabbricato nel tuo corpo, ma nella fabbrica.
Ci sono tre città: la città nuova, la città fabbrica, la città antica. Negli ultimi decenni le prime due hanno esiliato la terza sulla sua isola, gli hanno assegnato il ruolo di accogliere lo spirito accidioso della città. Questo modello che cammina su una gamba sola non è più sostenibile. Lo deve capire la classe dirigente locale e nazionale mettendo a disposizione risorse non solo per il padrone, ma per i tarantini, costruendo un nuovo modello basato sull'equilibrio tra le diverse opportunità: il porto, il museo, la città vecchia. Dare salute a queste tre realtà di fatto significa rendere la città meno dipendente dalla grande acciaieria. Come si dice in questi casi, è una grande sfida, una sfida che non può ridursi agli aggiustamenti che non aggiustano niente. E nonostante gli errori di questi giorni le uniche figure meritevoli di rispetto restano gli operai: quello che stanno facendo ci dice che esiste l'egoismo degli sfruttati, ma è sempre meno grave dell'egoismo degli sfruttatori.
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http://www.ilmondo.it/politica/2012..._64030.shtml

L MONDO / politica / 26 Luglio 2012
Ilva/ Verdi: A Taranto disastro sanitario e ambientale gravissimo
Bonelli: Magistratura ha fatto proprio dovere. Salvare posti

Roma, 26 lug. "A Taranto si è consumato il più grave
disastro ambientale e sanitario: il provvedimento della
magistratura sull'Ilva sancisce la sconfitta delle istituzioni e
della politica che nonostante fossero perfettamente a conoscenza
della tragedia sanitaria e del disastro ambientale legato
all'inquinamento non hanno fatto nulla per avviare una
conversione ecologica di un modello industriale
diossino-centrico". Lo dichiara il leader dei Verdi Angelo
Bonelli, che aggiunge: "Per anni è stata nascosta la verità ai
cittadini di Taranto e all'Italia: solo la perizia epidemiologica
e chimica della Procura è stata in grado di squarciare la cortina
di omertà e di disinformazione costruita intorno alla vicenda
Taranto. La magistratura ha fatto semplicemente il proprio dovere
in una città dove 2-3 persone al mese muoiono di inquinamento:
386 decessi negli ultimi 13 anni".

"A Taranto - prosegue - è caduta una quantità di diossina tre
volte superiore a quella di Seveso, sono stati abbattuti migliaia
di capi di bestiame. A Taranto non si possono coltivare i terreni
entro un raggio di 20 chilometri dall'area industriale, la
mitilicoltura e la maricultura, sono state fortemente
danneggiate. La diossina è entrata nel latte materno e piombo e
cadmio nelle urine. Stiamo parlando di una città dove
l'inquinamento pesa 210 chilogrammi per ogni cittadino - continua
il leader ecologista -. E' sconcertante, però, che quando si
parla di bonifiche il Gruppo Riva che negli ultimi hanno ha avuto
utili per oltre 3 miliardi non sia chiamato a contribuire. E'
assurdo che il principio che è alla base della legislazione
europea, ossia 'chi inquina paga' valga per tutto tranne che per
la vicenda Taranto".

"Il futuro di Taranto è nella conversione industriale così come è
stata realizzata a Pittsburgh, Bilbao, città dove si è
abbandonato un modello economico basato alla diossina - conclude
Bonelli -. I posti di lavoro dell'Ilva possono essere salvati
avviando subito le bonifiche che devono essere finanziate
attraverso il contributo dello Stato, dell'azienda e del Fondo
sociale europeo. Gli operai devono diventare i tecnici delle
bonifiche. E' necessario poi che Taranto venga dichiarata No-Tax
Area per almeno 5 anni, misura necessaria per per attrarre
investimenti italiani e esteri per investimenti su nuove aziende
basate sull'innovazione, la Green Economy e un modello economico
non inquinante".
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http://www.legambiente.it/contenuti...sponsabili-e

Sequestro Ilva . Legambiente: “È il risultato di anni di politiche irresponsabili. Esprimiamo profonda preoccupazione”
26/7/2012

“Il sequestro è il risultato di anni di politiche, soprattutto industriali, davvero irresponsabili. Esprimiamo la nostra più profonda preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare a Taranto. Agli annosi e drammatici problemi ambientali e sanitari ora si aggiunge quello occupazionale. Si è finiti in un vicolo cieco da cui si rischia di uscire con soluzioni frettolose che non risolverebbero i problemi che hanno portato a questo sequestro”.

Si esprime così Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di Legambiente a commento della decisione di chiudere l’impianto a caldo dell’Ilva, senza facoltà d’uso, da parte del giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, a conclusione delle indagini della Procura per disastro ambientale a carico dei vertici dell’azienda siderurgica.

“Quanto sta accadendo a Taranto - aggiungono Francesco Tarantini e Lunetta Franco, rispettivamente presidente di Legambiente Puglia e di Legambiente Taranto - richiama alla mente il sequestro dell’impianto petrolchimico di Gela avvenuto 10 anni fa, risolto poi con un intervento normativo che, come un colpo di spugna, cancellò una serie di situazioni irrisolte lasciando che le cose rimanessero come erano prima del Decreto dell’allora ministro Altero Matteoli. Non vorremmo che accadesse la stessa cosa in Puglia”.

Legambiente auspica ancora che il Ministero dell’ambiente proceda velocemente al rilascio della nuova Aia, che deve essere molto più rigorosa e stringente della precedente, anche per rispondere, a questo punto, alle contestazioni alla base del sequestro dell’impianto. E l’azienda deve procedere velocemente, senza ulteriori arroganti contestazioni e insopportabili predite di tempo, alla messa in pratica degli interventi per far ripartire le produzioni in modo compatibile con l’ambiente e la salute dei cittadini e dei lavoratori.

“Quello al lavoro è un diritto imprescindibile - concludono Tarantini e Franco - che non va scisso dal diritto alla salute. Entrambi devono muoversi su unico fil rouge basato sulla tutela dell’ambiente”.
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la posizione della Regione Puglia

http://www.tgcom24.mediaset.it/cron...ustria.shtml
27.7.2012

Ilva, Vendola: "Non è finita, si coniughino le ragioni dell'ambiente e quelle dell'industria"
Il governatore della Puglia a Tgcom24: "Finita l'epoca in cui salute e ambiente erano marginali"

Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola interviene a Tgcom24 per dire la sua sulla questione Ilva. "L'Ilva non è finita - dice -: è finita l'epoca in cui il diritto alla salute e quello all'ambiente potevano essere considerati marginali; da una parte c'è il fondamentalismo ambientalista dall'altra un industrialismo cieco, la sfida è coniugare le ragioni dell'ambiente e le ragioni dell'industria".
"Il Procuratore Sebastio e il Procuratore Generale Vignola hanno offerto indicazioni che chiariscono in questo momento di confusione la vicenda - ha spiegato Vendola -. Il sequestro non significa lo spegnimento dell'Ilva. Non siamo all'ultima parola del più grande siderurgico d'Europa. Siamo in una fase di accertamento di una relazione tra inquinamento e patologie. L'Ilva deve poter interloquire con la Procura, se saranno rispettate le prescrizioni e l'Ilva, in questo tempo occupato dal riesame, fino all'ultima istanza, darà segnali di ottemperare alle prescrizioni, potrà essere riconsiderato il procedimento giudiziario".

Secondo il presidente della Regione Puglia, "non è vero che o si sceglie per ambiente e per la salute o per l'economia". "Comincia - ha detto Vendola - un colloquio che indicherà il sentiero utile per ambientalizzare gli apparati produttivi dell'Ilva e ripristinare la legalità per salvare una grande fabbrica che dà lavoro a migliaia di operai. Quando parlo di fondamentalismo ideologico mi riferisco a coloro che immaginano riconversioni naive. Chiudere l'Ilva significa infliggere un colpo drammatico all'industria italiana. Per la Puglia significa un colpo al cuore dal punto di vista delle prospettive economiche. Ma la prevalenza va al diritto alla vita e alla salute".

"Mai fatti sconti all'azienda"
"Noi anche sfidando le ire del sistema di impresa e il sorriso ironico di tanta buona stampa borghese all'Ilva non abbiamo mai fatto sconti - ha sottolineato Vendola -. Se oggi dai camini dell'azienda vengono sputati 3 grammi e mezzo di diossina, quando, fino a qualche anno fa, ne sputavano fuori mezzo chilo vuol dire che abbiamo raggiunto dei risultati. Insieme, magistratura, politica e cittadinanza attiva, possono trasformare quello che sembra un incubo in una grande occasione per tutta Italia".

"Ammirato dalla compostezza dei manifestanti"
"In Puglia - conclude il governatore - abbiamo costruito una delle tecnologie più all'avanguardia d'Europa e dico che si deve continuare a lavorare insieme per fare sempre meglio. Con il ministro Clini abbiamo firmato un protocollo per attuare tutta una serie di bonifiche. Sono molto ammirato per la straordinaria compostezza dei manifestanti, è sacrosanto che un lavoratore difenda il proprio posto di lavoro. Esprimono una consapevolezza culturale, hanno capito che anche per difendere il posto di lavoro è importante che l'Ilva cambi registro, per dare una risposta tangibile alla domanda di salute della comunità tarantina".

http://www.ecodallecitta.it/notizie.php?id=113034


Ilva, l'assessore Nicastro: "regione Puglia parte lesa, al fianco della magistratura"
L'assessore Lorenzo Nicastro, con delega alla Qualità dell'Ambiente, interviene nella vicenda Ilva: "Le parole del Procuratore di Taranto ristabiliscono un clima di fiducia. E sulla posizione della Regione Puglia ribadisce che "è parte lesa e per questo sarà al fianco della magistratura"
27 luglio 2012

“Voglio esprimere la mia gratitudine al contributo di chiarezza offerto stamane dalla Magistratura tarantina in ordine alla delicata questione dello stabilimento Ilva: quanto emerso nel corso della conferenza stampa tenuta dai procuratori Vignola e Sebastio e dall'avvocato generale Saltalamacchia, restituisce un quadro di riferimento più preciso rispetto ai provvedimenti adottati dal GIP sgombrando il campo dall'idea che non ci siano vie d'uscita rispetto all'attuale situazione. Ritengo che questo elemento, importantissimo, debba permettere valutazioni più serene rispetto alla gestione della problematica”.

Così l'assessore Lorenzo Nicastro, con delega alla Qualità dell'Ambiente, dopo aver seguito la conferenza stampa tenuta dalla magistratura tarantina. “Nell'esercitare il proprio ruolo istituzionale la magistratura ha debitamente soppesato i diritti, tutti egualmente tutelati dalla Costituzione, alla salute da un lato e all'occupazione dall'altro. Leggo nelle precisazioni fatte la possibilità di non approcciare alla vicenda secondo il concetto della reciproca esclusione: è il momento dell'inclusione, delle valutazioni di ragionevolezza rispetto alla necessità di tutelare la salute e la matrice ambientale e il futuro occupazionale di migliaia di persone e delle loro famiglie.

La Regione Puglia – prosegue Nicastro – è parte lesa e per questo sarà al fianco della magistratura come sino ad ora ha fatto”. “Infine – conclude Nicastro – credo che non sia sfuggito a nessuno il chiaro segnale di disponibilità a valutare eventuali elementi di novità rispetto alle prescrizioni: auspico ed attendo segnali concreti da parte dell'azienda rispetto ad interventi che giustifichino una rivalutazione dei provvedimenti adottati. Abbiamo a disposizione del tempo che è necessario utilizzare per stabilire concretamente una road map che consenta di superare le criticità e di contemperare le esigenze ambientali e di salute pubblica con quelle di tutela dell'asset economico strategico non solo per Taranto ma per l'intero paese”.
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