Argonauti - La Natura di Puglia e Basilicata - ILVA Taranto. Quale futuro per la città?
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 Evento: ILVA Taranto. Quale futuro per la città?
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giuseppe nuovo
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Inserito il - 30/07/2012 : 19:24:57  Link diretto a questa discussione  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di giuseppe nuovo  Guarda l'indirizzo Skype di giuseppe nuovo  Invia a giuseppe nuovo un messaggio Yahoo! Aggiungi giuseppe nuovo alla lista amici  Rispondi Quotando

Come saprete esiste un provvedimento di sequestro dell'impianto ILVA a Taranto.
Per chi tratta di 'ambiente', sviluppo ecosostenibile, green economy è un momento importante di riflessione e approfondimento.
Da un lato la salute dei cittadini, una economia ed un territorio devastato con la negazione di uno sviluppo vocato al mare, al turismo, all'agricolturo, alla itticoltura... dall'altra la perdita di lavoro per migliaia di lavoratori disperati e sfruttati ai quali non gli si può dire di trasformarsi in qualcos'altro da un giorno all'altro,
In mezzo una classe imprenditoriale rapace e assassina; una classe politica immobile per ignavia o corruzione (come dimenticare il populismo di Cito e il dissesto finanziario del comune?); i sindacati che apparentemente si pongono in mezzo tra la difesa dell'occupazione e la salvaguardia della salute ma che in realtà pendono nettamente per la 'difesa' del lavoro diventando complici ed alleati del 'padrone'.
Come è consetudine in Italia c'è voluta la magistratura a fissare dei paletti una volta dimostrato, senza ombra di dubbio, come se ce ne fosse ancora bisogno, che l'ILVA uccide... e tanto. Uccide direttamente, lentamente, inesorabilmente... le persone, l'economia, il territorio intero, il futuro.
In questo post cercherò di tenere aggiornata la situazione... si tratta del nostro futuro.
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http://www.nuovaresistenza.org/2012...#more-156797

Taranto, cercando un futuro – E – il mensile online
Pubblicato 30 luglio 2012 | Da ken sharo

Christian Elia

La decisione, secondo fonti di stampa, dovrebbe arrivare nel giro di poche ore. Il gip Patrizia Todisco, avrebbe firmato il provvedimento di sequestro (senza facoltà d’uso) degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto, oltre a disporre misure cautelari per alcuni indagati nell’inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici dell’azienda.

Tra la polvere delle carte bollate, restano tracce del ricatto occupazionale: gli operai sono scesi in strada per urlare la loro disperazione. “Chiederò che il provvedimento di riesame avvenga con la massima urgenza”, fa sapere il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. “Verrà affrontata l’emergenza per almeno 15mila persone in seguito a iniziative della magistratura che sta procedendo al sequestro e a altre misure cautelari”.

I sindacati, come si è già osservato in altre occasioni, sono in mezzo al guado: si mobilitano e lottano per salvare i posti di lavoro a rischio, pur consapevoli che ogni giorno, quel cartellino timbrato, può essere una tacca, una stazione di passaggio verso la malattia, la morte, il dolore di genitori, figli e coniugi. Ma senza lavoro come si fa? Frasi ascoltate all’Eternit di Casale Monferrato e altrove: ”Posso ammalarmi oppure no, ma di fame muoio di sicuro”.

La politica, in imbarazzo. Il governatore della Puglia, Nichi Vendola, che tra le promesse della campagna elettorale del suo primo mandato aveva parlato al cuore di Taranto, promettendo un futuro. Ora il governatore, in un tavolo tecnico con il ministero, si affretta a trovare soluzioni che fino a quando non si è palesato l’intervento della magistratura erano rimaste lettera morta.

Perché in fondo Taranto è una città ferita, dove l’Ilva e i suoi morti sono solo l’ultimo di una serie di dolori imposti a una città che ha sempre avuto nel suo mare, nei suoi due mari, il suo senso. Una città che più di altre ha vissuto il boom dell’Italia che si sognava grande potenza industriale, svegliandosi nell’incubo della crisi e dell’inadeguatezza. Quell’Italia che straparla di Tav e ponte sullo Stretto di Messina, ma dove per un viaggio da Bari a Reggio Calabria in treno vanno messe in conto undici ore.

Taranto sembra una polaroid, di un modello in scala. Un’Italia in miniatura, di quelle buone per famigliole e turisti in gita. Il comune, nel 2006, si sveglia fallito. Il più grande dissesto finanziario di un ente locale, un buco di quasi 500 milioni di euro, un sindaco travolto dagli scandali, stipendi d’oro che hanno arricchito un clan di burocrati, un prefetto nominato a governare quella Puglia diventata famosa per Giancarlo Cito, osceno mix tra populismo e fascismo accattone.

Un disavanzo di oltre 83 milioni di euro nel 2004, lievitato a quasi 138 milioni nel 2005. I debiti fuori bilancio sfioravano i 150 milioni. Gli oneri latenti sono di quasi 160 milioni di euro. Il commissario straordinario stima con precisione il “buco” fra i 446 e i 447 milioni. Con un trucco le voci passive le hanno trasformate in attive, i debiti in crediti, nelle entrate sono finite le voci “uscite” delle partecipate e voci incerte come quelle dei tributi ancora non riscossi. Una contabilità taroccata dal primo all’ultimo numero. Anche il calcio ci si mette. Una bufala illude una città intera, con una voglia matta di un sorriso. Si parla di ripescaggio, di serie B. Invece è solo un’altra beffa.

Ruberie, politici capaci di distruggere e mai di costruire, il lavoro svanito salvo tenerselo stretto a costo della salute. E ti resta solo da guardare quel che resta della Magna Grecia. Il porto, il cuore, che potrebbe finire in mano ai cinesi. Ma forse si tirano indietro pure loro, spaventati da promesse di infrastrutture, leggi che bloccano la crescita, ma che non riescono a proteggere nessuno dalla corruzione e dal furto. Si aspetta la decisione del gip. Si aspetta un domani differente. Buona fortuna Taranto.
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http://www.ilsole24ore.com/art/noti...uid=AbahiiGG

Ilva Taranto, al via la procedura per il sequestro degli impianti
30 luglio 2012

Con l'arrivo a Taranto dei custodi nominati dal gip, sono di fatto cominciate le procedure per eseguire il sequestro di sei impianti dell'area a caldo dell'Ilva disposto dalla magistratura giovedì scorso. I tecnici sono incaricati dal gip di «avviare le procedure tecniche per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento».I sindacati chiedono di incontrare l'azienda. Intanto, per «impegni sopravvenuti», è stato rinviato a data da destinarsi l'incontro che il presidente dell'azienda Ferrante avrebbe dovuto avere con il procuratore di Lecce. Il Codacons ha presentato la denuncia contro i ministri dell'Ambiente e della Salute. Parte oggi l'azione di risarcimento in favore dei cittadini.

L'incontro con i dirigenti dell'Ilva
I quattro custodi sono giunti all'interno del siderurgico attorno a mezzogiorno; stanno incontrando la dirigenza dell'Ilva, per stabilire le procedure di chiusura degli impianti, che richiederanno tempi lunghi. I custodi giudiziari sono stati incaricati di sovrintendere alle procedure, osservando «le prescrizioni a tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica e a tutela dell'integrità degli impianti».

Odg del Comune: cabina di regìa per Taranto
Sulla questione dell'Iva è intervenuto anche il comune di Taranto: Il consiglio ha approvato un ordine del giorno riguardante la «preoccupante situazione ambientale e produttivo-occupazionale verificatasi in seguito alle vicende dell'Ilva». Nel documento si impegna il sindaco a compiere tutti gli atti necessari, tra cui l'attivazione di una «cabina di regia per Taranto», per il governo del territorio e quindi dell'ambiente in una visione equilibrata che coniughi il diritto al lavoro con quello alla salute entrambi costituzionalmente garantiti. Nel documento, che è stato approvato con 23 voti a favore, due astenuti e tre contrari (gli ambientalisti chiedevano un documento più incisivo) si impegna il sindaco a «vigilare sul pieno e puntuale rispetto degli accordi e degli impegni pubblici oltre a quello della parte privata informando costantemente il Consiglio comunale affinchè possa seguire gli sviluppi della questione Ilva».

Confindustria e istituzioni locali: non si chiuda la fabbrica
«L'Ilva di Taranto non può essere chiusa ma bisogna procedere concretamente sulla strada che salvaguardia la produzione e il lavoro con la difesa dell'ambiente e della salute». Lo hanno ribadito oggi, in un'assemblea congiunta, Confindustria e rappresentanti politici e istituzionali, amministratori locali e parlamentari. Questi ultimi hanno chiesto a Confindustria di predisporre un documento in modo da portarlo poi all'attenzione del Governo. L'associazione delle imprese ha anche chiesto di essere più attivamente coinvolta ai tavoli nazionali che
affrontano il caso Taranto. «C'é grande preoccupazione, vogliamo confrontarci con tutti, essere attori e protagonisti di quello che avverrà nel nostro territorio», ha affermato Enzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto. «Le aperture del presidente Ferrante sono positive - ha continuato - le apprezziamo. Sono sicuro che così si creeranno le condizioni per evitare lo stop dello stabilimento di Taranto».
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http://bari.repubblica.it/cronaca/2...va-39940065/

Ilva, il piano per spegnere gli altiforni ma la Procura per il momento frena
Ci vogliono dai sette ai dodici mesi per completare la procedura. Tra costi altissimi e pericoli di esplosioni
di GIULIANO FOSCHINI

C’è un punto esatto dal quale parte la nuova storia dell’Ilva. Quel punto è a pagina 295, l’ultima, del provvedimento di sequestro dell’impianto firmato dal gip Patrizia Todisco. In quelle righe il giudice consegna lo stabilimento a tre custodi. Si tratta di dirigenti dell’Arpa che dovranno procedere allo spegnimento dell’impianto. Ecco, quei tecnici al momento non hanno ancora preso l’incarico. Non li ha chiamati nessuno. Evidentemente nessuno, nemmeno la Procura, vuole arrivare allo spegnimento dell’impianto. Però vuole controllarne la nuova vita, evitando che si continui a fare come si è fatto sino a oggi: «La mattina rispettavano la legge e la notte la violavano» per usare le parole del procuratore generale, Gaetano Vignola.
Ma
è dal provvedimento di sequestro che bisogna partire per spiegare la nuova vita dell’Ilva. «Per tutti gli aspetti tecnico- operativi - scrive il giudice nel decreto di sequestro - gli ingegneri dell’Arpa Barbara Valenzano, Emanuele Laterza e Claudio Lofrumento i quali avvieranno immediatamente le procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti sopra indicati, sovrintendendo alle operazioni e assicurandone lo svolgimento nella rigorosa osservanza delle prescrizioni a tutela della sicurezza e incolumità pubblica e a tutela della integrità degli impianti». Dovranno essere questi tre ingegneri quindi, almeno sulla carta, a dover spegnere l’impianto. Una procedura che durerebbe dai sette mesi a un anno. «Al netto dei guasti - ha spiegato il professor Carlo Mapelli, docente di Metallurgia al Politecnico di Milano, al sito siderweb. com - il tempo per rimandare a regime l’area a caldo sarebbe tra i sei e gli otto mesi».
Per spegnere un’acciaieria come l’Ilva non si chiude un rubinetto. Né basta muovere una manovella. Lo stabilimento pugliese è il più grande d’Europa, si estende su una dimensione due volte Taranto. Producono acciaio per mezza Europa: come? Nella cockeria viene inserita la materia prima, il carborne fossile, che viene trasformato in carbon coke. Il coke insieme con il calcare e il minerale di ferro viene inserito nell’altoforno dal quale viene fuori la ghisa liquida. E quindi l’acciaio. Taranto produce circa 10 milioni di tonnellate di accaio, a fronte delle 29 complessive che vengono prodotte in Italia. È un terzo dell’intero mercato. Comunque, per spegnere la cokeria servono dai due ai quattro mesi, dicono i tecnici: bisogna spegnere i circa 200 che si trovano uno dopo l’altro e che compongono la batteria. Quando anni fa fu ordinato il sequestro delle cockerie, i Riva di fatto non spensero mai i forni ponendo tutta una questione di natura tecnica tant’è che la magistratura per essere sicura che si bloccasse la produzione fu costretta a sequestrare direttamente il carbone, la materia prima.

E soprattutto proprio su quel reparto i Riva avrebbero fatto i minori investimenti. Un motivo, sospettano gli investigatori, c’è. E anche in questo caso sarebbe da individuare nella volontà dei Riva a non spendere troppo denaro. Un impianto del genere ha un ciclo di vita di circa 40 anni. Non conviene intervenire quindi per ambientalizzarlo, quanto piuttosto tirare il più possibile, portarlo all’esaurimento e magari poi realizzarne uno nuovo oppure delocalizzare dove la produzione costa di meno e ha meno paletti. Un mese all’incirca servirebbe invece a spegnere ciascuno degli altiforni, che sono alti circa 40 metri e larghi 15. Lavorano tutti i giorni dell’anno, 24 ore su 24 e anche quando ci sono gli scioperi vengono comunque tenuti in funzione. Spegnerne uno può significare un impegno di spesa di circa 200 milioni di euro.

Il vero problema per un’operazione di questo tipo arriva però dalla sicurezza. Tragicamente e, paradossalmente, spegnere l’Ilva può essere anche più pericoloso che farla continuare a lavorare. Avviare le modalità di spegnimento potrebbe far collassare uno degli altiforni, provocando un’esplosione devastante. Stessa cosa nelle operazioni di spegnimento della cockeria. Tutto questo rimarrà probabilmente, però, soltanto sulla carta visto che difficilmente (al di là delle decisioni che verranno prese la prossima settimana dal tribunale del Riesame) la magistratura chiederà ai tre tecnici dell’Arpa di procedere allo spegnimento. Più possibile invece che verrà chiesto loro una serie di procedure per la riduzione della produzione o comunque per il controllo continuo, e questa volta reale, delle emissioni.
(29 luglio 2012)
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la posizione del WWF

la posizione del wwf...
ILVA di Taranto: il sequestro dopo 20 anni di inerzia
27/7/2012 - Ora si stringa un patto di ferro contro inquinamento e per la riconversione industriale

Dopo il recentissimo sequestro dello stabilimento dell’ILVA di Taranto non si ricada nell’errore di separare la questione ambientale dalla questione occupazionale, pensando che le soluzioni possano essere disgiunte, ricorda il WWF Italia e si stringa un patto di ferro che da una parte diminuisca l’inquinamento e parallelamente porti avanti la riconversione industriale.

La magistratura, venti anni dopo l’inizio del caso, con il sequestro ha attuato un atto dovuto dopo lunghissime indagini e perizie. Certamente tutto ciò doveva arrivare ben prima, visto che l’area industriale dell’ILVA è stata dichiarata prima sito a alto rischio ambientale e poi sito di bonifica di interesse nazionale senza che, prima di tutto la proprietà, avviasse un processo di risanamento e riconversione industriale.

Il ricatto occupazionale per troppi anni ha avuto la meglio sull’impatto ambientale che è ricaduto sulla città. Come richiesto dal WWF in precedenza, meglio sarebbe stato se l’autorizzazione unica ambientale rilasciata congiuntamente da molti enti, tra cui il Ministero dell’Ambiente e la Regione Puglia, fosse stata data chiedendo in via preventiva interventi di riduzione degli impatti.

Oggi la strada si fa più difficile e inevitabilmente occorre oggi garantire l’aspetto sociale e quindi l’occupazione purchè si abbia l’assoluta certezza che sin da subito si pongano in essere procedure e misure per diminuire emissioni e carichi inquinanti, purchè si riprenda con forza il tema della riconversione dello stabilimento che in assenza di alternative ha purtroppo il destino segnato nell’ambito di un mercato globale.

Su queste vicende sempre alta è stata l’attenzione del WWF, che aveva depositato un ricorso avverso l’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dal Ministero dell’Ambiente a favore dello stabilimento tarantino, ritenendolo carente degli strumenti burocratici, tecnici e tecnologici idonei a garantire l’ambiente e quindi la salute dei cittadini. Nel pieno rispetto dei principi di precauzione, integrazione ambientale e dell’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, il WWF ha sempre richiesto un concreto abbattimento delle emissioni prodotte dalle cokerie tarantine, un campionamento continuo e “a monte” della produzione di diossina, nonché ulteriori, più incisive, prescrizioni a tutela della salubrità ambientale della città di Taranto e della regione tutta. Recentemente il WWF si è costituito parte offesa al processo per all'inquinamento generato dagli impianti ILVA, incaricando l'avvocato Francesco Di Lauro per la difesa legale.
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http://ferdinandodubla.blogspot.it/...olitico.html

il punto di vista del Partito dei Comunisti Italiani...sabato 28 luglio 2012
ILVA di Taranto: il documento politico del PdCI

Tanti sono i soggetti che hanno la responsabilità della situazione ambientale di Taranto, a cominciare dal ruolo svolto dalla Marina Militare con le attività dell’arsenale e continuando con l’impatto di insediamenti industriali: Raffineria, Cementir e Italsider, oggi Ilva, di proprietà del gruppo Riva.
A tutto questo va aggiunta la responsabilità di tanta parte politica, quella più conservatrice che ha governato il paese e amministrato la città, che ha permesso per lunghi anni a questi soggetti imprenditoriali di fare i propri affari senza tener conto della compatibilità ambientale delle loro attività produttive.
Nello specifico, l’impennata dell’inquinamento coincide con il passaggio della proprietà della grande fabbrica dall’Iri al gruppo Riva, passaggio avvenuto in modo quanto meno strano tant’è che ancora oggi non se ne conoscono chiaramente le modalità e il costo reale.
Tutto questo ha permesso a Riva di operare senza un sostanziale controllo continuando a produrre per diciassette anni ubbidendo solo alle leggi di un mercato senza regole, sacrificando alla logica del profitto i lavoratori, la popolazione e l’intero territorio tarantino.
Riva ha messo in atto una politica di intimidazione prima e poi di attacco alla classe operaia, ai suoi diritti, al suo sindacato e perfino agli stessi valori della democrazia, sanciti nella carta costituzionale circa il ruolo sociale della proprietà e dell’iniziativa imprenditoriale privata.
Non si può dimenticare l’infamante palazzina Laf, nella quale vivevano reclusi un centinaio di lavoratori che reclamavano solo rispetto dei propri diritti e dignità, c’è voluta la magistratura e non l’azione di altri a cui spettava il dovere di farlo."
Così oggi, di fronte ad un padrone che rifiuta il confronto con le rappresentanze dei lavoratori la magistratura interviene avendo preso atto di elementi che denunciano le responsabilità dell’azienda del disastro ambientale.
Né Riva può strumentalmente utilizzare i lavoratori per attaccare l’operato della magistratura o per sottrarsi agli adempimenti per abbattere le emissioni attraverso gli investimenti necessari su innovazioni tecnologiche.
Il problema non si risolve con la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva, si tratta invece di capire che è giunto il momento di rivendicare la modifica degli impianti attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori per le responsabilità politiche, manageriali e operative.
La chiusura di una parte importante dello stabilimento di Taranto avrebbe ricadute disastrose perfino sulla tenuta occupazionale e delle attività del porto.
Taranto deve diventare un caso Nazionale: occorre quindi che il governo produca un piano di bonifica del territorio e della fabbrica e non solo di riqualificazione ambientale; esso deve interessare la messa sotto controllo delle emissioni di tutte le attività produttive.
Occorre che la classe operaia sia rappresentata con forza dalle organizzazioni sindacali nella trattativa e nel controllo delle misure adottate dal piano.
Occorre che le istituzioni: Regione, Provincia, Prefettura, Comune diventino soggetti di confronto con Ilva e di controllo del territorio sulle emissioni attraverso l’uso delle strutture pubbliche preposte come ARPA che devono vigilare con gli strumenti del caso ventiquattro ore su ventiquattro.
I comunisti Italiani, preoccupati della situazione di scontro determinatasi, sono al fianco dei lavoratori per la difesa del posto di lavoro ed esprimono solidarietà al Sindaco Stefàno condividendone a pieno la impostazione politica per la soluzione del problema
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http://www.ilmanifesto.it/attualita.../mricN/8167/

A Taranto sono tre le città da recuperare
Franco Arminio 30.07.2012

L'apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile.

Taranto è una città apocalittica, è un'apocalisse grigia, a lento rilascio. C'è una fabbrica che si è presa il mare, la terra, il cielo della città e adesso si prende anche il lavoro. Bisogna fermarsi e ragionare, si può enfatizzare l'importanza del lavoro o quella della salute, comunque siamo di fronte a un vicenda cruciale.
L'apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile. Una storia di trasformazioni che hanno cambiato il volto dell'Italia, ma non i rapporti tra dominati e dominanti.
Gli operai di Taranto provengono spesso dalle campagne ioniche, spinti dal mito del posto fisso. Negli anni sessanta in quella che allora si chiamava l'Italsider andò a dir messa anche il papa. E valenti documentaristi filmavano una fabbrica che aveva nella sua grandezza il suo mito. Insieme all'industria è cresciuta la città nuova, i negozi, gli uffici del terziario. Tutto si è mosso in un direzione che pareva di avanzamento e che col passare del tempo si è configurata come un abbraccio mortale, da città sviluppata a città impolverata: la fabbrica, il quartiere Tamburi e il cimitero, uno a fianco all'altro.
Ora la faccenda non può essere risolta con un intervento pubblico teso a rendere la fabbrica meno nociva. E bisogna sempre considerare che magari fra vent'anni scopriremo che era inaccettabile ciò che adesso consideriamo accettabile. In ogni caso il punto di partenza deve essere la condizione degli operai. Perdere il posto è una beffa ulteriore e insopportabile. Ed è singolare che lo stesso padrone abbia una fabbrica al sud che inquina il doppio di quanto inquina al nord.
Forse è la stessa logica che porta il padrone a indennizzare gli operai vittime del petrolchimico di Marghera e non di quello di Brindisi. La stessa logica che ha portato a riempire di rifiuti tossici le campagne del casertano e di tanti altri luoghi del sud: c'è sempre stato qualcuno, camorrista o semplice cittadino, che ha pensato al denaro più che alla salute, anche perché il denaro si prende subito, le malattie arrivano più lentamente.
A Taranto non c'è solo la fabbrica, c'è anche un meraviglioso museo archeologico, c'è una città vecchia sopra un'isola. È lecito chiedersi se è giusto mettere soldi su una fabbrica che non sarà mai innocua: l'acciaio non si fa coi guanti bianchi. È lecito chiedersi se non è il caso di orientare l'investimento anche in un grande piano di recupero del centro antico, per restituire alla Puglia e all'Italia un luogo importante.
È veramente il caso di spendere bene il tempo. Per studiare interventi migliorativi, ma anche per capire che la città deve da subito ricostruire le macerie del suo centro storico: nessuna città italiana ha un centro che sembra reduce da un bombardamento. Ci vuole una politica all'altezza di un luogo straordinariamente bello e complesso: c'è la fabbrica, ci sono gli operai, ma ci sono anche i contadini intorno alla città, anche loro hanno un lavoro, anche loro hanno diritto a essere tutelati. E hanno diritto a essere tutelati i bambini e gli anziani di Taranto. E anche gli ipocondriaci: le persone che tendono a sviluppare malattie immaginarie trovano tutte le condizioni per accrescere le proprie ansie. Se una mattina ti svegli con un linfonodo ingrossato fai presto a pensare che il tumore è venuto a visitare pure a te, fai presto a pensare che non è stato fabbricato nel tuo corpo, ma nella fabbrica.
Ci sono tre città: la città nuova, la città fabbrica, la città antica. Negli ultimi decenni le prime due hanno esiliato la terza sulla sua isola, gli hanno assegnato il ruolo di accogliere lo spirito accidioso della città. Questo modello che cammina su una gamba sola non è più sostenibile. Lo deve capire la classe dirigente locale e nazionale mettendo a disposizione risorse non solo per il padrone, ma per i tarantini, costruendo un nuovo modello basato sull'equilibrio tra le diverse opportunità: il porto, il museo, la città vecchia. Dare salute a queste tre realtà di fatto significa rendere la città meno dipendente dalla grande acciaieria. Come si dice in questi casi, è una grande sfida, una sfida che non può ridursi agli aggiustamenti che non aggiustano niente. E nonostante gli errori di questi giorni le uniche figure meritevoli di rispetto restano gli operai: quello che stanno facendo ci dice che esiste l'egoismo degli sfruttati, ma è sempre meno grave dell'egoismo degli sfruttatori.
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http://www.ilmondo.it/politica/2012..._64030.shtml

L MONDO / politica / 26 Luglio 2012
Ilva/ Verdi: A Taranto disastro sanitario e ambientale gravissimo
Bonelli: Magistratura ha fatto proprio dovere. Salvare posti

Roma, 26 lug. "A Taranto si è consumato il più grave
disastro ambientale e sanitario: il provvedimento della
magistratura sull'Ilva sancisce la sconfitta delle istituzioni e
della politica che nonostante fossero perfettamente a conoscenza
della tragedia sanitaria e del disastro ambientale legato
all'inquinamento non hanno fatto nulla per avviare una
conversione ecologica di un modello industriale
diossino-centrico". Lo dichiara il leader dei Verdi Angelo
Bonelli, che aggiunge: "Per anni è stata nascosta la verità ai
cittadini di Taranto e all'Italia: solo la perizia epidemiologica
e chimica della Procura è stata in grado di squarciare la cortina
di omertà e di disinformazione costruita intorno alla vicenda
Taranto. La magistratura ha fatto semplicemente il proprio dovere
in una città dove 2-3 persone al mese muoiono di inquinamento:
386 decessi negli ultimi 13 anni".

"A Taranto - prosegue - è caduta una quantità di diossina tre
volte superiore a quella di Seveso, sono stati abbattuti migliaia
di capi di bestiame. A Taranto non si possono coltivare i terreni
entro un raggio di 20 chilometri dall'area industriale, la
mitilicoltura e la maricultura, sono state fortemente
danneggiate. La diossina è entrata nel latte materno e piombo e
cadmio nelle urine. Stiamo parlando di una città dove
l'inquinamento pesa 210 chilogrammi per ogni cittadino - continua
il leader ecologista -. E' sconcertante, però, che quando si
parla di bonifiche il Gruppo Riva che negli ultimi hanno ha avuto
utili per oltre 3 miliardi non sia chiamato a contribuire. E'
assurdo che il principio che è alla base della legislazione
europea, ossia 'chi inquina paga' valga per tutto tranne che per
la vicenda Taranto".

"Il futuro di Taranto è nella conversione industriale così come è
stata realizzata a Pittsburgh, Bilbao, città dove si è
abbandonato un modello economico basato alla diossina - conclude
Bonelli -. I posti di lavoro dell'Ilva possono essere salvati
avviando subito le bonifiche che devono essere finanziate
attraverso il contributo dello Stato, dell'azienda e del Fondo
sociale europeo. Gli operai devono diventare i tecnici delle
bonifiche. E' necessario poi che Taranto venga dichiarata No-Tax
Area per almeno 5 anni, misura necessaria per per attrarre
investimenti italiani e esteri per investimenti su nuove aziende
basate sull'innovazione, la Green Economy e un modello economico
non inquinante".
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http://www.legambiente.it/contenuti...sponsabili-e

Sequestro Ilva . Legambiente: “È il risultato di anni di politiche irresponsabili. Esprimiamo profonda preoccupazione”
26/7/2012

“Il sequestro è il risultato di anni di politiche, soprattutto industriali, davvero irresponsabili. Esprimiamo la nostra più profonda preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare a Taranto. Agli annosi e drammatici problemi ambientali e sanitari ora si aggiunge quello occupazionale. Si è finiti in un vicolo cieco da cui si rischia di uscire con soluzioni frettolose che non risolverebbero i problemi che hanno portato a questo sequestro”.

Si esprime così Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di Legambiente a commento della decisione di chiudere l’impianto a caldo dell’Ilva, senza facoltà d’uso, da parte del giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, a conclusione delle indagini della Procura per disastro ambientale a carico dei vertici dell’azienda siderurgica.

“Quanto sta accadendo a Taranto - aggiungono Francesco Tarantini e Lunetta Franco, rispettivamente presidente di Legambiente Puglia e di Legambiente Taranto - richiama alla mente il sequestro dell’impianto petrolchimico di Gela avvenuto 10 anni fa, risolto poi con un intervento normativo che, come un colpo di spugna, cancellò una serie di situazioni irrisolte lasciando che le cose rimanessero come erano prima del Decreto dell’allora ministro Altero Matteoli. Non vorremmo che accadesse la stessa cosa in Puglia”.

Legambiente auspica ancora che il Ministero dell’ambiente proceda velocemente al rilascio della nuova Aia, che deve essere molto più rigorosa e stringente della precedente, anche per rispondere, a questo punto, alle contestazioni alla base del sequestro dell’impianto. E l’azienda deve procedere velocemente, senza ulteriori arroganti contestazioni e insopportabili predite di tempo, alla messa in pratica degli interventi per far ripartire le produzioni in modo compatibile con l’ambiente e la salute dei cittadini e dei lavoratori.

“Quello al lavoro è un diritto imprescindibile - concludono Tarantini e Franco - che non va scisso dal diritto alla salute. Entrambi devono muoversi su unico fil rouge basato sulla tutela dell’ambiente”.
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la posizione della Regione Puglia

http://www.tgcom24.mediaset.it/cron...ustria.shtml
27.7.2012

Ilva, Vendola: "Non è finita, si coniughino le ragioni dell'ambiente e quelle dell'industria"
Il governatore della Puglia a Tgcom24: "Finita l'epoca in cui salute e ambiente erano marginali"

Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola interviene a Tgcom24 per dire la sua sulla questione Ilva. "L'Ilva non è finita - dice -: è finita l'epoca in cui il diritto alla salute e quello all'ambiente potevano essere considerati marginali; da una parte c'è il fondamentalismo ambientalista dall'altra un industrialismo cieco, la sfida è coniugare le ragioni dell'ambiente e le ragioni dell'industria".
"Il Procuratore Sebastio e il Procuratore Generale Vignola hanno offerto indicazioni che chiariscono in questo momento di confusione la vicenda - ha spiegato Vendola -. Il sequestro non significa lo spegnimento dell'Ilva. Non siamo all'ultima parola del più grande siderurgico d'Europa. Siamo in una fase di accertamento di una relazione tra inquinamento e patologie. L'Ilva deve poter interloquire con la Procura, se saranno rispettate le prescrizioni e l'Ilva, in questo tempo occupato dal riesame, fino all'ultima istanza, darà segnali di ottemperare alle prescrizioni, potrà essere riconsiderato il procedimento giudiziario".

Secondo il presidente della Regione Puglia, "non è vero che o si sceglie per ambiente e per la salute o per l'economia". "Comincia - ha detto Vendola - un colloquio che indicherà il sentiero utile per ambientalizzare gli apparati produttivi dell'Ilva e ripristinare la legalità per salvare una grande fabbrica che dà lavoro a migliaia di operai. Quando parlo di fondamentalismo ideologico mi riferisco a coloro che immaginano riconversioni naive. Chiudere l'Ilva significa infliggere un colpo drammatico all'industria italiana. Per la Puglia significa un colpo al cuore dal punto di vista delle prospettive economiche. Ma la prevalenza va al diritto alla vita e alla salute".

"Mai fatti sconti all'azienda"
"Noi anche sfidando le ire del sistema di impresa e il sorriso ironico di tanta buona stampa borghese all'Ilva non abbiamo mai fatto sconti - ha sottolineato Vendola -. Se oggi dai camini dell'azienda vengono sputati 3 grammi e mezzo di diossina, quando, fino a qualche anno fa, ne sputavano fuori mezzo chilo vuol dire che abbiamo raggiunto dei risultati. Insieme, magistratura, politica e cittadinanza attiva, possono trasformare quello che sembra un incubo in una grande occasione per tutta Italia".

"Ammirato dalla compostezza dei manifestanti"
"In Puglia - conclude il governatore - abbiamo costruito una delle tecnologie più all'avanguardia d'Europa e dico che si deve continuare a lavorare insieme per fare sempre meglio. Con il ministro Clini abbiamo firmato un protocollo per attuare tutta una serie di bonifiche. Sono molto ammirato per la straordinaria compostezza dei manifestanti, è sacrosanto che un lavoratore difenda il proprio posto di lavoro. Esprimono una consapevolezza culturale, hanno capito che anche per difendere il posto di lavoro è importante che l'Ilva cambi registro, per dare una risposta tangibile alla domanda di salute della comunità tarantina".

http://www.ecodallecitta.it/notizie.php?id=113034


Ilva, l'assessore Nicastro: "regione Puglia parte lesa, al fianco della magistratura"
L'assessore Lorenzo Nicastro, con delega alla Qualità dell'Ambiente, interviene nella vicenda Ilva: "Le parole del Procuratore di Taranto ristabiliscono un clima di fiducia. E sulla posizione della Regione Puglia ribadisce che "è parte lesa e per questo sarà al fianco della magistratura"
27 luglio 2012

“Voglio esprimere la mia gratitudine al contributo di chiarezza offerto stamane dalla Magistratura tarantina in ordine alla delicata questione dello stabilimento Ilva: quanto emerso nel corso della conferenza stampa tenuta dai procuratori Vignola e Sebastio e dall'avvocato generale Saltalamacchia, restituisce un quadro di riferimento più preciso rispetto ai provvedimenti adottati dal GIP sgombrando il campo dall'idea che non ci siano vie d'uscita rispetto all'attuale situazione. Ritengo che questo elemento, importantissimo, debba permettere valutazioni più serene rispetto alla gestione della problematica”.

Così l'assessore Lorenzo Nicastro, con delega alla Qualità dell'Ambiente, dopo aver seguito la conferenza stampa tenuta dalla magistratura tarantina. “Nell'esercitare il proprio ruolo istituzionale la magistratura ha debitamente soppesato i diritti, tutti egualmente tutelati dalla Costituzione, alla salute da un lato e all'occupazione dall'altro. Leggo nelle precisazioni fatte la possibilità di non approcciare alla vicenda secondo il concetto della reciproca esclusione: è il momento dell'inclusione, delle valutazioni di ragionevolezza rispetto alla necessità di tutelare la salute e la matrice ambientale e il futuro occupazionale di migliaia di persone e delle loro famiglie.

La Regione Puglia – prosegue Nicastro – è parte lesa e per questo sarà al fianco della magistratura come sino ad ora ha fatto”. “Infine – conclude Nicastro – credo che non sia sfuggito a nessuno il chiaro segnale di disponibilità a valutare eventuali elementi di novità rispetto alle prescrizioni: auspico ed attendo segnali concreti da parte dell'azienda rispetto ad interventi che giustifichino una rivalutazione dei provvedimenti adottati. Abbiamo a disposizione del tempo che è necessario utilizzare per stabilire concretamente una road map che consenta di superare le criticità e di contemperare le esigenze ambientali e di salute pubblica con quelle di tutela dell'asset economico strategico non solo per Taranto ma per l'intero paese”.
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http://www.ecoo.it/articolo/ilva-di...torio/19259/

Ilva di Taranto, stanziate le risorse per la bonifica del territorio

La questione dell’Ilva di Taranto prevede adesso di essere risolta con un piano di bonifica del territorio, che verrà realizzato in cinque anni. Sono state stanziate a questo scopo delle precise risorse. Si tratta di 336 milioni di euro. Il ministro dell’Ambiente, il ministro dello Sviluppo, la Regione Puglia e il Comune di Taranto hanno firmato un protocollo d’intesa e hanno stabilito la formazione di un coordinamento misto, in modo che il Governo e la Regione possano calcolare i tempi per salvare il sito dall’inquinamento ambientale.
l piano prevede il rilancio del polo industriale, operazioni di bonifica e misure per dare maggiori incentivi alle imprese che punteranno sulle ecotecnologie.

Secondo ciò che ha detto il ministro Clini, l’intesa ci sarebbe. Clini ha infatti dichiarato: “Martedì riporteremo gli impegni finanziari sottoscritti con il protocollo. Il modo migliore per affrontare il conflitto tra ambiente e lavoro è proseguire nel miglioramento degli impianti e nell’allineamento alle regole europee. Il percorso di risanamento deve andare avanti perché non possiamo rischiare di perdere questo presidio tecnologico in una fase così delicata per il nostro Paese. Gli effetti si ripercuoterebbero su tutta l’economia perché i mercati non aspettano“.

Il ministro dell’Ambiente ha anche dichiarato che il Governo è d’accordo sulla continuità produttiva, ma non può esimersi dal mettere in atto una procedura di messa in sicurezza, nonostante questa si riveli lunga e complessa.

Gli interventi ambientali in questo caso sono veramente importanti nell’ottica di una strategia di sviluppo sostenibile.

Lo sciopero degli operai è sospeso

A cura di Gianluca Rini

Gli operai dell’Ilva di Taranto hanno deciso di sospendere lo sciopero e di ritornare a lavorare. Alle 6:30 di oggi, 28 luglio, si è rientrati in fabbrica, mettendo fine, almeno momentaneamente, alle proteste contro le ordinanze di sequestro dello stabilimento siderurgico. Sono stati inoltre rimossi i blocchi stradali che gli operai avevano predisposto in segno di protesta. I lavoratori chiedono certezze sul loro futuro occupazionale, per questo è stata decisa un’altra manifestazione con assemblea pubblica per il 2 agosto, alla vigilia del riesame sui ricorsi presentati da Ilva sulla volontà di sequestro della fabbrica.

Gli operai dell’Ilva sembrano davvero essere decisi a tutto, per evitare di perdere il loro lavoro. Ed è giustamente un atteggiamento comprensibile, specialmente alla luce dell’attuale crisi economica. Eppure si deve pensare alla sostenibilità ambientale, che comunque occupa un ruolo di fondamentale importanza e che non dovrebbe essere trascurata.

La soluzione sarebbe quella di una mediazione che possa tutelare gli interessi dei lavoratori e allo stesso tempo garantire la salvaguardia dell’ambiente e la salute degli abitanti della zona. È questa l’idea che sta alla base del concetto di sviluppo sostenibile, che dovrebbe essere tenuto presente come punto di riferimento anche nel caso dello sviluppo industriale.

Partendo dalla volontà di voler garantire lo sviluppo sostenibile, si può raggiungere l’obiettivo comune di prestare attenzione al rispetto dell’ambiente in cui viviamo e assicurare quella crescita economica, di cui il nostro Paese ha tanto bisogno per andare avanti.

Lo sciopero degli operai

A cura di Gianluca Rini

L’Ilva di Taranto è stata sequestrata, almeno per ciò che riguarda le parti più importanti, e intanto prosegue lo sciopero ad oltranza da parte degli operai che vedono messi a rischio il loro futuro occupazionale. Oggi, 27 luglio, si è svolta un’assemblea che ha coinvolto i lavoratori dello stabilimento siderurgico, imputato nella questione del disastro ambientale provocato dall’inquinamento. La situazione è molto tesa e i segretari nazionali di Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil hanno chiesto al governo di mantenere l’attenzione sulla vicenda: a rischiare di perdere il posto di lavoro sono circa 12.000 operai.

Si preannunciano altri blocchi stradali, dopo quelli di ieri 26 luglio. Potrebbero essere interessate anche la via per Statte, la statale 106 jonica per Reggio Calabria, il ponte girevole, la strada per San Giorgio.

Il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, intervenendo sulla questione della sostenibilità ambientale, ha specificato: “Il disastro ecologico vero è lasciare l’impianto fermo. Per ambientizzarlo è necessario farlo marciare, altrimenti sarà impossibile bonificare.”

Inoltre Palombella ha fatto presente: “Nessuno si aspettava una cosa del genere. Ritengo ingiusto e ingeneroso far passare il concetto che lo stabilimento sia all’anno zero dal punto di vista del rispetto ambientale. Negli ultimi quindici anni, in concomitanza con la privatizzazione e soprattutto con il crescere di una cultura ecologista, lo stabilimento è stato ammodernato con degli investimenti massicci. Anche perché un impianto del genere, senza investimenti, sarebbe crollato su se stesso.”

Gli operai bloccano le strade

A cura di Gianluca Rini

La questione dell’Ilva di Taranto ha fatto scoppiare non solo le polemiche, ma adesso è arrivato anche un vero e proprio sciopero organizzato da alcune sigle sindacali, che ha portato gli operari a far sentire la loro protesta contro la chiusura dello stabilimento e il loro incerto futuro in termini di occupazione. Gli operai hanno bloccato gli accessi alla statale 106 per la Calabria e alla statele 7 Appia per Bari. Si resta in attesa della decisione della magistratura sulla sorte della fabbrica siderurgica. Il gioco c’è la tutela ambientale della zona e la salvaguardia della salute dei cittadini.

Recenti ricerche hanno confermato come gli abitanti del luogo riportano valori elevati di piombo nelle urine e che il rischio di essere affetti da tumori è particolarmente alto. Non si contano i danni in termini di inquinamento, per quello che si può definire un vero e proprio disastro ambientale. Eppure si continua a protestare contro la chiusura dello stabilimento.

Mimmo Panarelli, segretario territoriale della Fim Cisl di Taranto, ha fatto presente: “La tensione in fabbrica non è più sostenibile ed è per questo che abbiamo deciso di organizzare sciopero e presidi. Noi siamo convinti di una cosa molto chiara: chi sostiene che è possibile fermare l’area a caldo dello stabilimento e che può esistere solo l’area a freddo non sa quello che dice. Questo è uno stabilimento a ciclo integrale: se si chiude l’area a caldo, deve chiudere l’intero sito. E sarà la morte di Taranto.”

È difficile scegliere fra la tutela ambientale e, specialmente in tempi di crisi economica, il lavoro di molti operai. È chiaro comunque che una soluzione deve essere trovata, per scongiurare le conseguenze assurde di una vicenda di inquinamento ambientale molto grave.

Una ricerca rivela troppo piombo nelle urine e aumento rischio cancro

A cura di Gianluca Rini

Gli inquirenti indagano sull’ipotesi di disastro ambientale per quanto riguarda la situazione dell’Ilva di Taranto. Una ricerca inglese ha messo in rilievo i risultati di studi condotti sulle persone che abitano a Taranto. La ricerca è perfettamente in linea con quanto stabilito dai periti del tribunale di Taranto. Secondo le perizie, nei pressi dell’Ilva c’è un’eccessiva mortalità per patologie tumorali e “un eccesso di ricoveri per cause tumorali, cardiovascolari e respiratorie”, oltre ai pericoli per la salute degli operai che lavorano nella struttura.

La ricerca che è stata presentata a Oxford mira proprio ad analizzare lo stato di salute degli abitanti di Taranto. Secondo lo studio, presentato dall’associazione Peacelink, “nelle urine dei tarantini è stata riscontrata la presenza del piombo, sostanza neurotossica e cancerogena“.

Dei segnali evidenti, quindi, dello stato di inquinamento ambientale provocato dall’impianto. Nell’attesa di ulteriori provvedimenti giudiziari ed eventualmente del sequestro della struttura, comunque, la direzione dell’Ilva spiega di voler ricominciare l’attività del Treno Nastri 1, che era stata fermata lo scorso 10 giugno.

L’Ilva spiega che l’impianto sarà produttivo a partire da settembre, con 21 turni settimanali e con 232 unità. La ricerca presentata da Peacelink è stata condotta su un campione di 67 uomini e 74 donne di Taranto. Nelle urine si è riscontrato un valore medio di piombo corrispondente a 10,8 microgrammi/litro, quando in condizioni normali di salute il valore in questione dovrebbe essere compreso tra 0,5 e 3,5 microgrammi/litro.

Attesa per la decisione sul sequestro dell’area

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Grande attesa per ciò che riguarda l’Ilva di Taranto e la decisione che il gip Patrizia Todisco dovrà prendere in merito al sequestro dell’area che interessa il noto stabilimento siderurgico. La procura ha mosso nei confronti dello stabilimento industriale un’accusa precisa: disastro ambientale. Adesso si teme per la sorte dell’intero settore sul territorio e per i molti posti di lavoro a rischio. Tutto ciò sta portando ad una situazione di ineguagliabile tensione, perché è difficile riuscire a coniugare le possibilità di lavoro legate allo stabilimento e la sostenibilità ambientale.

Eppure si tratta di uno sforzo e di un tentativo che andrebbero fatti, perché rappresentano la strada verso una soluzione importante, che andrebbe anche a scongiurare la perdita del lavoro per molte persone, puntando tutto sullo sviluppo sostenibile.

Gino Marasco, rsu della Uilm, ha spiegato a questo proposito: “Siamo operai e sul nostro lavoro abbiamo costruito un progetto di vita. Siamo a un passo dal panico. C’è chi corre a chiedere l’anticipazione del tfr e chi si dispera per il prestito o per il mutuo. Il nervosismo è palpabile perché noi non possiamo accettare la morte della fabbrica. Siamo tutti d’accordo a scendere in strada per difendere la nostra vita“.

Il problema è veramente complesso, perché non si può continuare ad assistere senza intervenire ad una forma di inquinamento ambientale di grosse dimensioni. Allo stesso tempo non è affatto facile, in un periodo di crisi economica, permettere la perdita di numerosi posti di lavoro.

Solo un progetto di salvaguardia dell’ambiente incentrato proprio sulla fabbrica potrebbe permettere di risolvere il caso senza traumi.

Cosa fare contro l’inquinamento ambientale?

Domande che per ora non hanno risposta. Ma sono domande che pesano come macigni e gravitano su una città, i suoi abitanti, e sul territorio. Come risolvere l’inquinamento ambientale causato dall‘Ilva di Taranto? Il procuratore capo, Franco Sebastio, è arrivato a scrivere al Ministro dell’Ambiente Corrado Clini e al presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, per cercare una risposta. La missiva è indirizzata anche al sindaco e al presidente della provincia, e arriva proprio dopo una maxi perizia ambientale dove si riscontra tutta la gravità dell’impatto ambientale che l’Ilva ha avuto e continua ad avere sul territorio.

La perizia, infatti, mira a lanciare l’allarme su una situazione che definire grave è poco: l’Iva diffonde gas, polveri, sostanze tossiche, vapori, un mix terribile per lo stato di salute dei lavoratori dello stabilimento ma anche per tutta la popolazione locale. Le polveri, in particolare, si diffondono indiscriminatamente all’aria aperta, contaminando terreni agricoli, aree verdi, persone con problemi respiratori (che possono dunque solo andare ad aggravarsi).

Stiamo parlando di 668 tonnellate di polveri che annualmente contribuiscono all’inquinamento dell’aria, e anche a minare la vita degli animali: questo è un aspetto nuovo, solitamente trascurato, che appare evidente confrontando le analisi degli animali abbattuti un po’ di tempo fa per gli eccessi livelli di diossina ritrovati nell’organismo. Nessuno aveva mai, finora, provato lo stretto nesso che lega l’inquinamento ambientale causato dall’Ilva ai livelli alternati di queste specie di animali: un dato che, oltre che in sede giudiziaria, deve essere portato all’attenzione dei cittadini.

Un pool di esperti inoltre, nelle prossime settimane dovrebbe consegnare un documento di verifica circa la salute dei tarantini in correlazioni alle emissioni prodotte dall’azienda. Cosa si può fare, dunque? Il rischio è di impantanarsi nell’annoso dibattito tra salvaguardia del posto di lavoro e tutela della salute, un dibattito che anche dopo le recenti parole di Monti non potrà portare che a una pericolosa e inutile contrapposizione, senza aiutare di fatto né i cittadini a vivere in un ambiente più sano né i lavoratori a vivere con serenità la propria professione.






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Vorrei capire meglio.... forse ho capito male!
Cerchiamo di riparare i danni causati dall'ILVa con i soldi pubblici?
Cioè prima ci sfruttano, ci avvelenano, ci rubano il futuro e poi paghiamo noi stessi i danni con i nostri soldi???






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Ilva Taranto: Codacons denuncia ministri ambiente e salute
30 LUG 2012

(AGI) - Roma, 30 lug. - Il Codacons, in merito alla vicenda dell'Ilva, ha presentato oggi alla Procura di Taranto la propria nomina di parte offesa in qualita' di associazione ambientalista e un esposto in cui si chiede di estendere le indagini anche nei confronti dei Ministeri dell'ambiente e della salute, nelle persone dei ministri che si sono succeduti negli anni, e degli enti locali territorialmente competenti.
"La gravissima omissione delle istituzioni italiane, centrali e locali - scrive il Codacons nella denuncia - consistita nel non aver dato alcun allarme ufficiale ma soprattutto il mancato seguito da parte delle Autorita' competenti, di un'adeguata campagna di informazione rivolta ai cittadini coinvolti e le azioni e gli interventi previsti nonche' la violazione del principio di precauzione ripetutamente connessa al principio di informazione a favore della popolazione, appare indice di negligenza grave considerato che solo la conoscenza puo' consentire di adottare sistemi di prevenzione. Di rilevante importanza, quanto disposto dal d.lgs. 152/2006 (c.d. testo unico ambientale) e dell'ultimo suo "correttivo" (d.lgs.
4/2008) che prevede all'art. 257 una fattispecie di omessa bonifica che non solo sostituisce, con formula diversa, e per certi versi piu' limitativa, la fattispecie dell'art. 51-bis d.lgs. 22/97, ma che ricomprende di sicuro, al suo interno, parte della previgente fattispecie di cui all'art. 58 d.lgs.
152/99 (Danno ambientale, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati)".
"Alla luce di quanto sopra evidenziato - prosegue il Codacons - appare opportuno che l'Ill.ma Procura adita estendesse le proprie indagine volte ad accertare anche le responsabilita''dei Ministeri e degli enti pubblici che nel tempo hanno contribuito, attraverso una omessa vigilanza e mancati interventi preventivi, a determinare la grave situazione di danno ambientale e pertanto eventuali fattispecie penalmente rilevanti quali omissione in atti d'ufficio ex art.
328 c.p., omicidio colposo ex art.589 c.p., disastro colposo ex art. 449 c.p. nonche' violazione d.lgs. 152/2006 (c.d. testo unico ambientale)". L'associazione chiede inoltre con forza l'applicazione dell'art. 104 bis disp. art. c.p.p., che garantirebbe al tempo stesso il sequestro degli impianti e la prosecuzione dei lavori, soddisfacendo cosi' le esigenze delle varie parti in causa. L'art. in questione prevede infatti che "nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, societa' ovvero beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione (...) l'autorita' giudiziaria nomina un amministratore giudiziario (...)". Parte infine oggi l'azione legale del Codacons finalizzata a far ottenere a cittadini, lavoratori e aziende del tarantino il risarcimento per i gravissimi danni ambientali prodotti dagli stabilimenti Ilva e quantificabili, in base alle stime dell'associazione, in almeno 500 milioni di euro. Tutti i soggetti che risiedono nelle aree colpite dall'inquinamento dell'ambiente e del territorio prodotto dall'Ilva possono aderire all'azione risarcitoria, telefonando al numero 892.007 (info e costi pubblicati sul sito www.codacons.it) e partecipando cosi' alla costituzione di parte offesa nel procedimento penale aperto dalla Procura di Taranto. Attraverso tale procedura sara' possibile per i cittadini chiedere, attraverso il Codacons, il risarcimento dei danni morali e materiali subiti. (AGI) .






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TARALLUCCI E VINO??? INTANTO LA BONIFICA PER ORA LA PAGHIAMO NOI!!

http://www.asca.it/newsregioni-Ilva...182563-.html

Ilva: sindaco Taranto, dialogo e' via obbligata per salute e lavoro
30 Luglio 2012 - 15:57

(ASCA) - Roma, 30 lug - ''La nostra posizione sull'Ilva e' chiara: la citta' e' unita nella difesa del diritto alla salute e del diritto al lavoro. Ma tutto va fatto in modo ragionevole, non possiamo pensare di fare in tre mesi quello che non e' stato fatto in 120 anni. Questa scossa, voluta ed apprezzata dalla magistratura, servira' a stabilire dei limiti che non dovranno piu' essere oltrepassati''. Lo dichiara al sito Anci il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano.

''Stiamo cercando di arrivare ad un documento unitario, anche se gli ambientalisti avrebbero preferito prendere una posizione autonoma, ma non e' bello dividerci in questo momento'', aggiunge il sindaco di Taranto.

All'inizio della settimana decisiva, con la decisione del Tribunale del riesame sul ricorso dell'Ilva attesa per venerdi' prossimo, Stefano ribadisce la sua convinzione che l'unica strada utile e' quella del dialogo: ''Si tratta di un passaggio obbligato. Sappiamo che per spegnere gli altiforni ci vogliono 28 giorni, e speriamo che in sede di riesame vengano valutati i fatti concreti che danno garanzie del rispetto delle regole''.

Dal primo cittadino viene un riconoscimento al comportamento esemplare fin qui dimostrato dai lavoratori, una cui rappresentanza era presente al consiglio comunale, anche in vista dello sciopero di 24 ore proclamato per giovedi' prossimo: ''Questa manifestazione con le famiglie e' una cosa lodevole, e' riuscita chiamare l'attenzione dell'intero paese: i lavoratori cosi' rappresentano in modo corretto la loro ansia di perdere il lavoro. Anzi - ricorda Stefano - durante gli incontri avuti con loro in questi giorni ho registrato semplicemente attesa e fiducia con il loro appello a non lasciarli soli in questa battaglia''.

Per il sindaco tarantino va respinta l'obiezione secondo cui non e' stato fatto nulla per avviare la bonifica del sito produttivo: ''A parte le leggi approvate in questi anni, non dobbiamo sottovalutare l'importanza dell'accordo siglato il 26 luglio in consiglio dei ministri. Per la bonifica territoriale di Taranto sono stati stanziati 336 milioni: non mi pare poco, tanto piu' in un momento di difficolta' economica come questa'', puntualizza Stefano.

''E poi che senso ha fare dei paragoni con altre citta', come Genova? Quando peraltro e' stato fissato un impegno a rendere operative le attivita' di bonifica entro 30 giorni, con la nomina a commissario del presidente della Regione Vendola''. Non possiamo dialogare con i preconcetti'', conclude il sindaco di Taranto.






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http://comitatopertaranto.blogspot.it/
il blog del comitato per Taranto - ottima fonte di informazione.

lunedì 30 luglio 2012
Ilva: Bonelli (Verdi), il ministro della Salute non ordina inchiesta

(ASCA) - Roma, 30 lug - ''A difendere le ragioni di chi si e' ammalato o e' morto a causa dell'inquinamento e il diritto di non ammalarsi piu' e' rimasta solo la Procura della Repubblica di Taranto. E' davvero sconcertante, a questo punto, il silenzio del ministro della Salute che nonostante la gravita' di quanto contenuto nella Perizia dei magistrati ancora oggi non ha ordinato un monitoraggio sanitario, la realizzazione immediata del registro tumori e analisi a campione sul sangue e sulle urine dei cittadini di Taranto che, secondo quanto denunciato da studi indipendenti, sarebbero fortemente contaminate da piombo e cadmio, visto che ad oggi nessun altro lo ha fatto'', dichiara in una nota Angelo Bonelli.

''In questi giorni si avvertono fortissime pressioni per condizionare i magistrati sulla vicenda Ilva e sembra che il disastro sanitario sia passato completamente in secondo piano. Eppure la situazione sanitaria a Taranto e' drammatica: stiamo parlando di una citta' dove si muore e si ci ammala d'inquinamento - continua il presidente dei Verdi -. Chi oggi si affanna a difendere un sistema produttivo basato sulla diossina che (come dice la perizia della procura di Taranto) provoca 'malattia e morte', avrebbe dovuto indicare prima una strada per la conversione industriale del Polo siderurgico seguendo l'esempio di altre realta': Pittsburgh, Bilbao, Valencia hanno cambiato il proprio modello di sviluppo e ora rappresentano delle eccellenze per innovazione e qualita' della vita ''.

''A Taranto siamo in presenza di una situazione di emergenza ambientale e sanitaria gravissima che solo la magistratura ha avuto il coraggio di affrontare. I giudici di Taranto hanno fatto il proprio dovere mentre la politica e le istituzioni facevano finta di non vedere quello di cui tutti erano a conoscenza: ossia che a Taranto ci si ammala e si muore a causa dell'inquinamento e di un modello industriale alla diossina'', conclude Bonelli.


Ilva: parte il sequestro. E Napolitano risponde agli operai

da televideo_rai:
Con l'arrivo dei custodi nominati dal gip, sono di fatto cominciate le procedure per eseguire il sequestro di 6 impianti dell'area a caldo dell' Ilva disposto dalla magistratura giovedì scorso. I tecnici sono incaricati dal gip di "avviare le procedure tecniche per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento".

I custodi sono giunti all'interno del siderurgico attorno a mezzogiorno e hanno incontrato la dirigenza dell'Ilva, per stabilire le procedure di chiusura degli impianti, che richiederanno tempi lunghi. I custodi giudiziari sono stati incaricati di sovrintendere alle procedure, osservando "le prescrizioni a tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica e a tutela dell'integrità degli impianti".

I custodi che dovranno sovrintendere alle operazioni di spegnimento degli impianti sono tre ingegneri. Si tratta di Barbara Valenzano, dirigente del servizio tecnologie della Sicurezza e Gestione dell'emergenza presso la direzione Scientifica dell'Arpa Puglia, nonché componente del Comitato tecnico regionale prevenzione incendi, che sarà coadiuvata da Emanuela Laterza, funzionario presso lo stesso servizio e da Claudio Lofrumento, funzionario presso il servizio impiantistico e rischio industriale del Dipartimento provinciale ambientale di Bari. Per gli aspetti amministrativi riguardanti la gestione degli impianti e il personale è stato nominato dal gip Patrizia Todisco il presidente dell'Ordine dei dottori commercialisti di Taranto, Mario Tagarelli, che potrà essere coadiuvato da altri collaboratori

Napolitano risponde agli operai
AGI) - Roma, 30 lug. - Deve essere "possibile - nel pieno rispetto dell'autonomia della magistratura e delle sue valutazioni ai fini dell'applicazione della legge - giungere a soluzioni che garantiscano la continuita' e lo sviluppo dell'attivita' in un settore di strategica importanza nazionale, fonte rilevantissima di occupazione in particolare per Taranto e la Puglia, e insieme procedere senza ulteriore indugio agli interventi spettanti all'impresa e alle iniziative del governo nazionale e degli enti locali che risultino indispensabili per un pieno adeguamento alle direttive europee e alle norme per la protezione dell'ambiente e la tutela della salute dei cittadini". Lo scrive Giorgio Napolitano in risposta ad una lettera ricevuta dai lavoratori dell'Ilva di Taranto.
"Auspico - scrive il Capo dello Stato - che in tale direzione si operi rapidamente ed efficacemente, favorendo un clima di serena comprensione e di responsabile partecipazione sociale e civile a Taranto e in tutti i centri interessati alla scottante questione". Il presidente della Repubblica aggiunge: "Sono debitore di una risposta al drammatico appello che mi avete rivolto: anche perche' nel lontano 1959-60, da giovane deputato ed esponente politico meridionale, fui convinto sostenitore della necessita' - per la rinascita e lo sviluppo del Mezzogiorno - della costruzione di un impianto siderurgico a ciclo integrale nella citta' di Taranto. Nacque allora - osserva la prima carica dello Stato - una grande realizzazione, una straordinaria esperienza di produzione e di lavoro, che non puo' cancellarsi, per quanto sia passata attraverso scelte discutibili e abbia conosciuto complessi problemi".

SINDACATI PREOCCUPATI, NON ESCLUSE INIZIATIVE SUBITO"Siamo fortemente preoccupati per quello che sta accadendo nell'Ilva in queste ore. Il fatto che i tecnici del gip insieme ai Carabinieri del Noe stiano andando sugli impianti del siderurgico per predisporre e attuare il sequestro crea oggettivamente un clima di tensione tra i lavoratori. Si sta creando una situazione che non sappiamo come e dove potrebbe sfociare, ma ci e' stato anche detto chiaramente che esiste un'ordinanza del gip che dispone certe cose e che questa ordinanza va applicata". Lo affermano fonti sindacali. Fim, Fiom e Uilm hanno intanto rinviato la conferenza stampa fissata per oggi alle 17 nella quale avrebbero dovuto illustrare le iniziative per il 2 agosto.

Mi permetto di fare alcune consideraioni su questo comunicato 'bizantino'.... nel 2008 sono stati abbattuti 2000 capi di bestiame ed in questi anni sono rimasti senza lavoro tanti allevatori, mitilicultori, operatori turistici, agricoltori... questi non sono 'lavoratori'?


COMUNE TARANTO, ODG SU DIRITTO A LAVORO E SALUTE Dopo quattro ore di dibattito e qualche battibecco tra il sindaco Ippazio Stefano e gli ambientalisti, il Consiglio comunale di Taranto ha approvato un ordine del giorno riguardante la ''preoccupante situazione ambientale e produttivo-occupazionale verificatasi in seguito alle vicende dell'Ilva''. Nel documento si impegna il sindaco a compiere tutti gli atti necessari, tra cui l'attivazione di una ''cabina di regia per Taranto'', per il governo del territorio e quindi dell'ambiente in una visione equilibrata che coniughi il diritto al lavoro con quello alla salute entrambi costituzionalmente garantiti. Nel documento, che e' stato approvato con 23 voti a favore, due astenuti e tre contrari (gli ambientalisti chiedevano un documento piu' incisivo) si esprime solidarieta' umana e istituzionale ai lavoratori dell'Ilva e alle famiglie delle vittime dell'inquinamento ambientale. Si impegna inoltre il sindaco a ''vigilare sul pieno e puntuale rispetto degli accordi e degli impegni pubblici oltre a quello della parte privata informando costantemente il Consiglio comunale affinche' possa seguire gli sviluppi della questione Ilva''.
Da La Repubblica.it

Ecco il comunicato sindacale unitario per la prossima manifestazione indetta dai sindacati a Taranto sulla questione Ilva:

COMUNICATO SINDACALE SU ILVA

Venerdì 27 luglio alle ore 14 si è svolto un incontro tra le OO.SS.FIM-FIOM-UILM nazionali e territoriali, CGIL-CISL-UIL e la Direzione dell’ILVA nel corso del quale il Presidente dell’Ilva dottor Ferrante ha dichiarato che: E’ stata fissata per il 3 agosto, sulla base del ricorso da loro presentato la convocazione del Tribunale del Riesame sull’insieme dei provvedimenti, ed è intenzione dell’azienda confrontarsi direttamente, da subito, con la Procura.
Ad oggi nessuna esecutività è stata data all’ordinanza di sequestro.
E’ volontà dell’Impresa proseguire tutte le attività produttive coniugando la tutela del lavoro, della salute e della sicurezza, dell’ambiente interno ed esterno e a tal fine rafforzare il dialogo ed il confronto negoziale con il Sindacato, le Istituzioni ed il Governo
Consideriamo importanti le comunicazioni dell’azienda a partire da quella sulla convocazione del Tribunale del Riesame per il 3 agosto che siamo fiduciosi possa garantire l’operatività degli impianti. Consideriamo questi primi e parziali risultati frutto delle iniziative di lotta dei lavoratori dell’Ilva che continuano nella giornata odierna con lo sciopero del terzo turno.
Riteniamo necessario continuare la mobilitazione affinchè sia possibile realizzare un percorso sindacalmente condiviso che impegni Azienda e Istituzioni a realizzare gli investimenti necessari a coniugare le attività produttive con la tutela della salute e dell’ambiente interno ed esterno.
In tale ambito FIM-FIOM-UILM proclamano per il 2 agosto una giornata di lotta con manifestazione ed Assemblea Pubblica nella città di Taranto.

TARANTO 27 LUGLIO 2012
LE SEGRETERIE NAZIONALI E TERITORIALI FIM-FIOM-UILM CGIL-CISL-UIL TARANTO

La voce degli allevatori tarantini

Costretti da anni a convivere con l'annientamento delle nostre attività lavorative, vogliamo esprimere la nostra piena solidarietà , innanzitutto, a chi oggi si trova nella necessità di difendere il proprio posto di lavoro. Noi da anni, subiamo la sorte che gli operai ILVA temono oggi di dover affrontare, siamo disoccupati. Noi come gli operai paghiamo per colpe non nostre. Comprendiamo, quindi, la rabbia, la disperazione, la smisurata voglia di cercare il colpevole. Purché sia il vero colpevole! Questo, per non dimenticare che, se la magistratura si è ritrovata a dover prendere delle decisioni così gravose, evidentemente , proprio non ha potuto evitarlo. Evidentemente quanto riportato nelle perizie, ha prospettato uno scenario tale da non lasciare alternative ai giudici. Nelle perizie, peraltro mai contestate sui dati in sede di incidente probatorio dagli stessi esperti nominati dall’ILVA, si parla di danni ai bambini, distruzione del territorio, contaminazione di derrate alimentari destinate al consumo, esito di politiche aziendali perpetrate negli anni, e non solo in passato, frutto di un inquinamento attuale come risulta dalle perizie stesse. Abbiamo, tra l'altro, sentito esimii esponenti delle istituzioni esortare la politica, senz’altro finora assente, ad intervenire per risolvere ogni questione in modo da " far riposare gli avvocati ". Ci sembra un modo di tacitare la giustizia. Ma se noi vittime dell’inquinamento nell'ultimo, recentissimo concordato sottoscritto, non siamo neanche nominati, ci chiediamo chi mai se non gli organi della giustizia possono tutelarci per il danno subito, e per quello che ancora può verificarsi? E le vittime sono tutti i cittadini di Taranto, perché è dell’aria di Taranto che parliamo.
E allora, se è vero che il lavoro è un diritto sacrosanto, e come tale va difeso e tutelato, è pur vero che se la moneta di scambio diventa la salute nostra e, soprattutto, dei nostri figli, bisogna necessariamente correggere il tiro. Non possono chiederci ancora il sacrificio della vita contro la miseria, ma ci devono consentire una vita dignitosa, che è fatta di salute e di lavoro. Bisogna cercare alternative, andare oltre quei cancelli dietro cui una intera classe politica, si è trincerata per decenni sentendosi al riparo dallo spauracchio della fame e impedendo lo sviluppo di ogni altra attività. Attività che ci avrebbe consentito di salvarci molto prima, scongiurando probabilmente i tragici accadimenti di oggi che ben conosciamo. La nostra è una terra ricca di potenzialità. Violentata per anni ma ancora certamente recuperabile. Se solo noi tarantini prendessimo realmente coscienza di questo e, sorvegliando molto da vicino i nostri rappresentanti, li spingessimo a decidere nell'interesse nostro, scopriremmo quanto ancora si potrebbe fare. Si possono migliorare le attività esistenti e si possono creare nuove attività. E’ possibile conservare i posti di lavoro, ed è possibile vivere in un ambiente sano. Si tratta di speranze, ma poiché tutti hanno il diritto di pensare a un futuro migliore, auspichiamo che innanzitutto si rispettino le inevitabili decisioni prese senz'altro a fatica ma con coscienza e che chi di dovere, in clima di vera concertazione crei le basi per ripartire e consentire finalmente a noi e all'intera città di rinascere.
Famiglia Fornaro

Medicina Democratica su Ilva di Taranto

LAVORO E SALUTE SONO INSCINDIBILI ANCHE ALL’ILVA DI TARANTO

Di fronte alla gravissima situazione verificatasi all’ILVA di Taranto Medicina Democratica ritiene di dover prendere una posizione chiara e netta di appoggio alla decisione del GIP Patrizia Todisco di procedere al sequestro preventivo degli impianti in alcuni reparti della produzione “a caldo” altamente inquinanti per l’ambiente esterno.
E’ il risultato questo di anni della volontà di profitto da parte delle direzioni aziendali che supera qualsiasi interesse per la salute e la vita dei lavoratori e dei cittadini. I dati sono impressionanti: i morti e i malati si contano a migliaia.
Senza un’imposizione pubblica sia delle amministrazioni statali e regionali, siamo certi che l’azienda non si muove, soprattutto nel momento in cui il ricatto occupazione è fortissimo.
Medicina Democratica ritiene CHE SALUTE DEI LAVORATORI E DEI CITTADINI INQUINATI VENGA AL PRIMO POSTO, rispetto alle esigenze produttive e di profitto. Nessun lavoratore deve essere costretto a lavorare sotto ricatto occupazionale in luoghi di lavoro altamente inquinanti. Nello stesso tempo nessun cittadino deve ammalarsi per l’inquinamento prodotto dalla fabbrica.

Le bonifiche dei reparti inquinanti dell’ILVA si devono fare e con i soldi aziendali; chi ha fatto enormi profitti deve ora rimediare, anche in relazione a quanto stabiliscono le direttive comunitarie (chi inquina paga): i soldi di stato e regione dovranno servire solo in via emergenziale, sui territori circostanti la fabbrica e con richiesta di rivalsa nei confronti di chi ha provocato il disastro ambientale doloso.
Medicina Democratica ritiene che debba essere salvaguardata l’occupazione e che i lavoratori stessi debbano essere impiegati, IN CONDIZIONI DI SICUREZZA, nelle operazioni di bonifica una volta avvenuto il dissequestro . Non è possibile fare solo piccoli aggiustamenti di facciata, come alcune parole del Ministro Clini lasciano presagire, magari alzando a livello normativo i valori limite delle sostanze.
Medicina Democratica ritiene che le indagini epidemiologiche e ambientali che sono state fatte e che particolarmente hanno prodotto l’intervento della Magistratura sono più che sufficienti per iniziare il grande lavoro di bonifica che deve vedere impiegati per primi i lavoratori dello stabilimento e non meno le associazioni di cittadini che hanno lottato contro l’inquinamento di Taranto.

MEDICINA DEMOCRATICA infine ritiene che la situazione tarantina è spia di una situazione di fondo che mette spesso i lavoratori contro i cittadini ( e in qualche caso le due situazioni coincidono, perché è proprio il lavoratore ad abitare nelle zone più inquinate).
Ecco perché in prospettiva Medicina Democratica ritiene che si debba andare a una riconversione ecologica dell’economia attraverso un progressivo processo di fuoriuscita da tutti i CICLI LAVORATIVI GRAVEMENTE INQUINANTI. L’alternativa è data dall’investimento in altri settori: agricoltura biologica valorizzando le risorse locali (KM0), le piccole/grandi opere per difendere il territorio (rischio alluvioni, sismico etc), difesa dell’industria manifatturiera di qualità, le energie alternative, a partire dal fotovoltaico.
Medicina Democratica ritiene che tale programma deve essere portato avanti con tutte le forme possibili, anche di autogestione dal basso, pretendendo anche l’impegno del Governo che si deve occupare dell’improcrastinabile programma proposto, invece di sostenere gli interessi della speculazione finanziaria e di salvaguardare comunque rendite e patrimoni.

Il direttivo nazionale di MEDICINA DEMOCRATICA






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giuseppe nuovo
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Ilva, il gip: «Sequestro a tutela della vita umana»
Taranto, «per anni inquinamento dettato da una logica di profitto».


L'ordinanza di sequestro dello stabilimento Ilva di Taranto è arrivata il 16 luglio dopo mesi di attesa: l'inchiesta sui danni ambientali causati alla zona dalla fabbrica ha causato molte polemiche e anche la paura per i dipendenti del sito di perdere il lavoro. In 8 mila, non appena hanno saputo dei sigilli, hanno avviato una manifestazione di protesta.

«INQUINAMENTO DETTATO DAL PROFITTO». Il gip Patrizia Todisco, nel testo dell'ordinanza, ha scritto che la situazione dell'Ilva «impone l'immediata adozione, a doverosa tutela di beni di rango costituzionale che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta quali la salute e la vita umana, del sequestro preventivo». Todisco ha puntato direttamente il dito sui vertici dell'Ilva, di cui otto finiti agli arresti domiciliari: «Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza».

GRAVISSIMI DANNI AD AMBIENTE E PERSONE. I livelli di inquinamento, ha sottolineato, sono ancora oltre i limiti proprio a causa delle «emissioni nocive che hanno impatti devastanti» sulla popolazione e sull'ambiente, come ha potuto rilevare l'Arpa. «La gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all'ambiente e alla salute delle persone» ha scritto il gip. Sono state individuate anche tre figure tecniche (due funzionari dell'Arpa Puglia e uno del Dipartimento di prevenzione dell'Asl di Bari) che devono sovrintendere alle operazioni e garantire il rispetto delle norme di sicurezza. Della gestione delle fasi che riguardano il personale è invece stato incaricato un commercialista e revisore contabile. «L'inquinamento ha provocato malattia e morte» «L'imponente dispersione di sostanze nocive nell'ambiente urbanizzato e non» ha aggiunto il gip, «ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute, ma addirittura un gravissimo danno per le stesse, danno che si è concretizzato in eventi di malattia e di morte». Secondo Todisco, le conclusioni della perizia medica sono sin troppo chiare.

«È STATO UN DISASTRO AMBIENTALE». «Non solo, anche le concentrazioni di diossina rinvenute nei terreni e negli animali abbattuti costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica ove si consideri che tutti gli animali abbattuti erano destinati all'alimentazione umana su scala commerciale e non, ovvero alla produzione di formaggi e latte». Il problema che ha causato l'Ilva sul territorio di Tarnato è stato così un vero e proprio «disastro ambientale inteso chiaramente come evento di danno e di pericolo per la pubblica incolumità e idoneo a investire un numero indeterminato di persone». «Non vi sono dubbi sul fatto», ha concluso, «che le sostanze inquinanti erano sia chiaramente cancerogene, ma anche comportanti gravissimi danni cardiovascolari e respiratori. Gli effetti degli Ipa e delle diossine sull'uomo non potevano dirsi sconosciuti» (Lettera43)

Il gip: "Ilva mossa da logica del profitto sequestro per tutelare la vita umana"
Danni gravissimi alla salute provocati dallo stabilimento.
I passaggi più significativi dell'ordinanza con cui sono stati disposti i sigilli a parte degli impianti

Il gip: "Ilva mossa da logica del profitto sequestro per tutelare la vita umana" Patrizia Todisco "Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato nell'attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza". Sono pesantissime le conclusioni a cui è giunto il gip di Taranto Patrizia Todisco che oggi ha disposto il sequestro di sei reparti a caldo del siderurgico tarantino e ha ordinato l'arresto per otto persone, coloro che per anni hanno gestito lo stabilimento dell'Ilva.

Secondo il giudice la gestione del siderurgico più grande d'Europa è "sempre caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni provocati", ha un impatto "devastante" sull'ambiente e sui cittadini e ha prodotto un inquinamento che "ancora oggi" provoca disastri nelle aree più vicine allo stabilimento. Nelle circa 600 pagine che compongono i due provvedimenti cautelari (di sequestro dello stabilimento e di arresto) il gip fa a pezzi tutti coloro che nei decenni hanno guidato l'impianto siderurgico. E, soprattutto, afferma che lo stop alle acciaierie deve essere immediato "a doverosa tutela di beni di rango costituzionale" come la salute e la vita umana "che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta". Gli accertamenti e le risultanze emersi nel corso del procedimento, infatti, hanno "denunciato a chiare lettere l'esistenza, nella zona del tarantino, di una grave e attualissima emergenza ambientale e sanitaria, imputabile alle emissioni inquinanti, convogliate, diffuse e fuggitive, dallo stabilimento Ilva".

E siccome "la salute e la vita umana sono beni primari dell'individuo, la cui salvaguardia va assicurata in tutti i modi possibili", ribadisce il giudice riportando un passaggio della richiesta dei pm, l'impianto va fermato. Anche perchè chi ha diretto lo stabilimento doveva farlo "salvaguardando la salute delle persone", adottando "tutte le misure e utilizzando tutti i mezzi tecnologici che la scienza consente, al fine di fornire un prodotto senza costi a livello umano". Dunque "non si potrà mai parlare di inesigibilità tecnica o economia quando è in gioco la tutela di beni fondamentali di rilevanza costituzionale, quali il diritto alla salute, cui l'art. 41 della Costituzione condiziona la libera attività economica".

Ed invece, dice il giudice, i vertici dell'Ilva hanno fatto tutto il contrario. "L'attuale gruppo dirigente - afferma infatti - si è insediato nel (maggio) 1995, periodo in cui erano assolutamente noti non solo il tipo di emissioni nocive che scaturivano dagli impianti ma anche gli impatti devastanti che tali emissioni avevano sull'ambiente e sulla popolazione". Così come "chiarissimi" erano gli effetti subiti dalle aziende agricole. Ma non solo: "già nel 1997 e poi a seguire fino ad oggi gli accertamenti dell'Arpa evidenziavano i problemi per la salute che determinavano le emissioni del siderurgico". Di fronte a tutto ciò, l'intero gruppo dirigente ha sottoscritto degli "atti d'intesa volti a migliorare le prestazioni ambientali dell'impianto" (il Gip cita il primo del gennaio 2003 seguito da uno del febbraio e uno del dicembre 2004 e l'ultimo dell'ottobre 2006) che vengono definiti come "la più grossolana presa in giro compiuta dai vertici dell'Ilva". Non c'è quindi alcun dubbio che si è di fronte ad un disastro colposo.

"L'imponente dispersione di sostanze nocive nell'ambiente e non...ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute (pubblica) delle persone esposte a tali sostanze nocive ma, addirittura, un gravissimo danno per le stesse". Danno, conclude il gip che "si è concretizzato in malattie e morte". Morte documentata della popolazione di Taranto - secondo i dati snocciolati dal giudice - dagli "eccessi significativi di mortalità per tutte le cause e per il complesso delle patologie tumorali, per singoli tumori e per importanti patologie non tumorali, quali le malattie del sistema circolatorio, del sistema respiratorio e dell'apparato digerente, prefigurando quindi un quadro di mortalità molto critico". Da 1995 al 2002 è stata inoltre registrata "significativamente in eccesso la mortalità per tutti i tumori in età pediatrica (0-14 anni)". (Repubblica)






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La posizione delle donne contro l'ILVA promotrici del film documentario : La Svolta. Donne contro L'ILVA

Rossella Balestra coordinatrice del Comitato Donne per Taranto sgombera subito il campo da equivoci, perchè “se la magistratura ha attestato che quell’industria provoca malattie e morte, quell’industria deve chiudere. Sarà il governo a valutare le migliori soluzioni per ricollocare gli operai dell’area a caldo e per eseguire le bonifiche. Ma questo è un secondo problema, il primo problema è che l’area a caldo va chiusa immediatamente. Questo è l’obiettivo del nostro comitato da sempre. “







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un bell'articolo riassuntivo

http://www.informarexresistere.fr/2...xzz2299wpgxi

di GIANNI GIOVANNELLI
Il GIP (Giudice per le Indagini Preliminari) di Taranto, ovvero la dottoressa Patrizia Todisco, ha cambiato l’agenda politica e sindacale di fine luglio. Con una prima ordinanza ha sequestrato il più importante stabilimento siderurgico italiano e con una seconda ordinanza ha disposto l’arresto di otto dirigenti dell’Ilva (fra questi il mitico Emilio Riva, capo dell’impero, grande inquinatore). Sono 600 pagine complessive, precise, documentate, un atto d’accusa impressionante, fondato su perizie dettagliate, convincenti, oggettive, inattaccabili.
La dottoressa Todisco è riuscita (anche se non se lo era proposto, probabilmente) a ricomporre l’unità dei tre sindacati metalmeccanici; non avevano scioperato insieme per opporsi alla macelleria sociale organizzata dal governo Monti e dal ministro Fornero, ma si sono trovati subito d’accordo nel ritenere che sia logico (o almeno necessario) crepare di lavoro. Il ceto politico della sinistra democratica, dal canto suo, o tentenna o delira, abbandonandosi a considerazioni sconnesse o alla traccia di percorsi impossibili (lavorare e contemporaneamente risanare); sempre e rigorosamente senza affrontare il nodo delle sconvolgenti risultanze peritali.
Slopping definisce il fenomeno della fuoruscita di gas e delle nubi rossastre; Maurizio Landini ha incontrato cinquemila operai in assemblea in questo paesaggio surreale affermando (si veda l’intervista all’unità del 28 luglio 2012): bisogna tenere aperta la fabbrica ed evitare lo stop alla produzione. Se si vuole il risanamento l’idea che per risanare l’Ilva bisogna chiuderla non sta in piedi. Ma nel lungo tempo necessario perrisanare lavorando (ipotesi peraltro sostanzialmente inattuabile) i lavoratori crepano (ricordate?: in the long run we’re all dead!).
La perizia epidemiologica contiene numeri davvero sorprendenti: in sette anni 11.590 morti (1650 all’anno) e 26.399 ricoveri (3.857 all’anno). E nei soli quartieri della città che sono prossimi all’Ilva, nei sette anni, i morti sono 637 (91 all’anno) e i ricoveri ospedalieri 4.536 (648 all’anno). Non è un semplice dato statistico. È una strage! Il camino E 312 dell’acciaieria è dal 26 luglio 2012 il brand di Taranto, di una fabbrica in cui si produce, regalando la morte, anche la paura dell’instabilità. Come in guerra. Per sopravvivere devi lavorare, anche se lavorare ti toglie, a rate, la vita, rubandola al tempo. La paura dell’instabilità e della precarietà è un prodotto necessario per assicurare la governancenell’economia finanziarizzata di cui Emilio Riva (perfino in Alitalia!) è protagonista. Ilva produce acciaio e paura; entrambi sono pilastri del profitto, inscindibili.
Taranto è un laboratorio di esperienze estreme. Il forte napoleonico era affidato a Choderlos de Laclos, cui si debbono Les liaisons dangereuses; il soldato scrittore vi morì nel 1803 ma qualche anno dopo, nel 1814, per odio verso i francesi, il corpo fu disseppellito e gettato in mare. Forse per rimediare, o magari per ricordarlo appieno, la città dimostra, da allora, una tendenza costante e smodata a vivere pericolosamente (o quanto meno attrae guai come una calamita). La notte fra l’11 e il 12 novembre 1940 Taranto fu bombardata dall’aviazione alleata; l’attacco imprevisto fu studiato come un modello dal Giappone che preparava Pearl Harbour. Ebbene: in quella che è passata alla storia come la notte di Taranto i morti furono 85, molti meno di quelli prodotti da Ilva in un anno solare e nei soli quartieri di Tamburi e Borgo. Il governo Mussolini nel 1940 (bollettino n. 158 del 12 novembre) scrisse (mentendo) che a causa del bombardamento non vi erano stati morti; ed anche oggi lo stato italiano nega (mentendo) che ci siano vittime (al più si tratta di effetti collaterali).
E’ vero quel che dicono i sindacalisti, gli industriali ed il governo: una quota rilevante della popolazione (6% circa) trae da Ilva l’unica fonte di reddito. Sono 11.454 gli operai e 1.386 gli impiegati su una popolazione totale di 195.882 abitanti. Quel che non dicono è altro. Nascondono che la popolazione era di 244.100 abitanti pochi anni addietro e che circa 50.000 abitanti sono scappati via, invertendo il ciclo tradizionale di incremento precedente; nascondono che l’inquinamento ha determinato il divieto di pascolo in un’area di circa dieci chilometri intorno alla città; nascondono i capi di bestiame abbattuti, la diossina nel latte animale, l’impossibilità di controllare davvero i prodotti caseari e agricoli, occultano i danni al patrimonio ittico. E poi la diossina.
Nel 2002 si calcolava che il 36% dell’inquinamento da diossina provenisse da Ilva di Taranto. Dopo la chiusura di Cornigliano (e con buona pace dei piani di risanamento) la percentuale è ormai prossima al 90% e forse oltre. Sostiene la direzione (ora nelle mani dell’ex prefetto Bruno Ferrante, il candidato sindaco milanese imposto dal Partito Democratico e puntualmente sconfitto dal centrodestra) che la soglia sia inferiore a quota 100; ma i rilievi del 2008 hanno accertato un minimo di 172. La Regione Puglia aveva approvato nel 2008, con decorrenza aprile 2009, una legge con il limite di 0,4 nanogrammi per metro cubo. Ma la soglia nel febbraio 2009 (ovviamente per salvaguardare l’occupazione) fu elevata a 2,5. In ogni caso Ilva ha sempre ignorato, fino al 26 luglio impunita, leggi e limiti. La legge a Taranto non esiste per Riva, il rottamaio come lo chiamavano negli anni ’50 i liguri.
L’inquinamento non è l’unico primato della città. Lo abbiamo detto: qui si amano le esperienze estreme. Ben prima del Minnesota (ed anzi prima del crollo del subprime) Taranto era riuscita a realizzare il più consistente dissesto finanziario che mai un comune europeo avesse raggiunto. Il 18 ottobre 2005 il deficit pubblico era pari a 357 milioni di euro; ma il liquidatore Francesco Boccia, nel 2007, accertò che la somma reale del default era di 637 milioni di euro. Questa somma è tuttavia quasi ridicola rispetto al fatturato di Ilva! Le acciaierie comprendono 200 chilometri di ferrovia, 50 chilometri di strada, 190 chilometri di nastri. E’ una città nella città.
Con l’arroganza del potere Ilva rifiuta di accettare limiti e ordini; impone il dilemma fra insicurezza (precarietà, disoccupazione, indigenza) e lavoro in coabitazione con la morte. Il ricatto funziona. Lo accettano; la società è rispettata. Racconta Landini nell’intervista: con Ilva siamo di fronte ad un’azienda che vuole dialogare con il sindacato, che vuole mantenere la produzione in Italia. Purché non ci sia da spendere naturalmente. Ferrero a sua volta si schiera, dice, con chi vuole lavorare; contro Riva, ma lasciandolo fare. Il ministro per l’ambiente del governo Monti e la Confindustria invocano la continuità della produzione. Ma di fronte a questo scenario di morte davvero non abbiamo altro da dire, se non queste giaculatorie? Comprendiamo la crisi esistenziale della vecchia sinistra, che ritiene (Vendola, articolo del 27 luglio, l’Unità) la vita operaia un ecosistema da proteggere. Non è una questione risolvibile soltanto con facile ironia e neppure con invettive o scontato radicalismo; è invece una questione politica, nata in modo imprevisto (o almeno inatteso) e sviluppatasi poi nell’ambito di uno sciopero promosso dal governo, dalla disperazione, dalla famiglia Riva, dalla paura. Non va accantonata, va coltivata. Nel terzo numero dei Quaderni di San Precario (pagine 167-174) un lucido articolo a firma di Franco Fratini (pseudonimo di persona assai nota nel movimento antagonista ligure) poneva il problema delle cosiddette lotte di resistenza nella siderurgia; e ricordava lo scontro fra operai e popolazione (con reciproche accuse di essere reazionari) a Cornigliano, proprio in ragione del rapporto lavoro-salute. Il potere politico cartolarizza a suo modo il proprio credito (di storia e di idee) ed è remunerato con i finanziamenti pubblici ed europei a perdere, mentre consolida il suo sistema di consensi e complicità. Approfondire e smascherare la realtà di questo curioso sistema di produzione politica travestita da produzione siderurgica è tabù per tutti.
Una giovanissima giornalista pugliese, Teresa Serripierro, ha raggiunto gli operai in sciopero che tentavano di bloccare la città per affermare la loro ferma decisione di lavorare anche a rischio di morte; li ha ascoltati ed ha infine osservato: nessun Tribunale potrà,ora, fermare la forza dell’Ilva, al di là del fumo che esce dai camini. Perché la forza dell’Ilva sta in chi dentro lavora, e lo fa sapendo di poter morire; preferendo lavorare finché si può. Tutti sapevamo che questo 26 luglio 2012 sarebbe arrivato.
Le perizie ci hanno avvertito. E’ un disastro ambientale; ogni giorno la produzione Ilva uccide donne, uomini, bambini, natura. Il governo tecnico, quello che deruba precari e pensionati, immediatamente ha messo a disposizione 336 milioni di euro, come riferisce Corrado Cini, il ministro. A disposizione di chi? Non delle vittime, ma degli arrestati, dei responsabili! Il governatore Vendola e il ministro Cini concordano nell’esigere (loro diconoauspicare) la cancellazione del sequestro e degli arresti ad opera del Riesame, per poi consentire a Bruno Ferrante di mettere le mani sui fondi stanziati a beneficio di Ilva.
La produzione innanzitutto, anche se uccide. Repressione in Val di Susa, solidarietà con la famiglia Riva. Questo è il ceto politico della provincia italiana.
Gli operai dell’Ilva hanno il pieno diritto (dopo aver pagato un prezzo fin troppo alto) al reddito; ma senza morire e senza uccidere la popolazione di Taranto. Più che riprendere la produzione inquinante forse sarebbe meglio risanare l’ambiente tarantino, quello che il poeta Orazio (Ode a Settimio, II, 6) descrisse in modo indimenticabile (ille terrarum mihi praeter omnis angulus ridet; quell’angolo di terra più degli altri mi sorride). E’ un modo anche questo di costituire il comune. Sequestrare ed espropriare la famiglia Riva riprendendo il territorio di cui si era con arte impadronita, modificando la destinazioneprima che ci pensi il capitale finanziario come a Cornigliano.
Oggi Ilva produce disastro e paura; la paura è anzi il principale prodotto della fabbrica, quello necessario ad assicurare la governance del potere. Impongono lavoro e morte insieme, come unica alternativa all’incertezza e alla povertà. Ma sono corni falsi del dilemma, l’uno e l’altro. Se ne convincano Vendola e Landini; soprattutto se ne convincano i protagonisti reali, i lavoratori dell’Ilva e la popolazione vittima inerme di questi fuorilegge. Non va chiuso solo il famigerato camino E 312; deve essere chiusa ed eliminata la fabbricazione di paura.

Tratto da: Ilva di Taranto. La fabbrica della paura | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2...xzz229B5r9LI
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!






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su wikipedia troviamo una descrizione dell'ILVA e della sua storia
http://it.wikipedia.org/wiki/Ilva
Interessante la sintesi della perizia

Nel 2012 sono state depositate preso la Procura della Repubblica di Taranto due perizie (una chimica e l'altra epidemiologica) nell'ambito dell'incidente probatorio che vede indagati Emilio Riva, suo figlio Nicola, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento siderurgico, e Angelo Cavallo, responsabile dell'area agglomerato. A loro carico sono ipotizzate le accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.[2] Nella prima perizia, sulle emissioni, si legge che nel 2010 Ilva ha emesso in aria le seguenti sostanze convogliate (tabella A-1 della perizia):

4.159.300 kg di polveri;
11.056.900 kg di diossido di azoto;
11.343.200 kg di anidride solforosa;
7.000 kg di acido cloridrico;
1.300 kg di benzene;
338,5 kg di Idrocarburi Policiclici Aromatici;
52,5 g di Benzo(a)pirene;
14,9 g di policlorodibenzodiossine (abbreviato in diossine) e policlorodibenzofurani;
280 kg di cromo III (cromo trivalente);

Inoltre, da dichiarazione P-RTR della stessa ILVA (tabella C-1 della perizia):

172.123.800 kg di monossido di carbonio;
8.606.106.000 kg di biossido di carbonio;
718.600 kg di composti organici volatili non metanici;
8.190.000 kg di ossidi di azoto;
7.645.000 kg di ossidi di zolfo;
157,1 kg di arsenico;
137,6 kg di cadmio;
564,1 kg di cromo;
1.758,2 kg di rame;
20,9 kg di mercurio;
424,8 kg di nichel;
9.023,3 kg di piombo;
23.736,4 kg di zinco;
15,6 g di diossine;
337,7 kg di IPA;
1.254,3 kg di benzene;
356.600 kg di cloro e composti organici;
20.063,2 kg di fluoro e composti organici;
1.361.000 kg di polveri.

A tali emissioni convogliate, vanno sommate tutte quelle non convogliate, cioè disperse in modo incontrollato, la cui quantità è riportata nella perizia nelle tabelle A-III, B-III, C-III, D-III, E-III, F-III, G-III, H-III, I-III, e riguardano sostanze come tutte quelle suddette, in aggiunta ad acido solfidrico, vanadio, tallio, berillio, cobalto, policlorobifenili (PCB) e naftalene. La fuoriuscita di gas e nubi rossastre dal siderurgico (slopping) è un fenomeno documentato dai periti chimici e dai NOE di Lecce. Come da risposta al quesito II della perizia sulle emissioni, la diossina trovata nel corpo degli animali, abbattuti gli anni precedenti proprio perché contaminati, è risultata essere la stessa diossina emessa dai camini del polo siderurgico. Per ciò che riguarda la perizia epidemiologica, i periti nominati della Procura di Taranto hanno quantificato, nei sette anni considerati:

un totale di 11550 morti, con una media di 1650 morti all'anno, soprattutto per cause cardiovascolari e respiratorie;
un totale di 26999 ricoveri, con una media di 3857 ricoveri all'anno, soprattutto per cause cardiache, respiratorie, e cerebrovascolari.

Di questi, considerando solo i quartieri Tamburi e Borgo, i più vicini alla zona industriale:

un totale di 637 morti, in media 91 morti all'anno, è attribuibile ai superamenti dei limiti di PM10;
un totale di 4536 ricoveri, una media di 648 ricoveri all'anno, solo per malattie cardiache e malattie respiratorie, sempre attribuibili ai suddetti superamenti [1].


Secondo i periti nominati dalla procura, la situazione sanitaria a Taranto è molto critica, anzi unica in Italia. [2] Gran parte delle sostanze rilevate nella perizia sulle emissioni sono state poi considerate in quella epidemiologica come "di interesse sanitario". Gli inquinanti sono in concentrazioni più elevate nei quartieri in prossimità dell'impianto. Le stesse concentrazioni variano nel tempo e dipendono dalla direzione del vento.

Gli esiti sanitari per cui esiste una "forte evidenza scientifica" di possibile danno dovuto alle emissioni del siderurgico sono:

mortalità per cause naturali;
patologie cardiovascolari;
patologie respiratorie, in particolare per i bambini;
tumori maligni in generale, in età pediatrica (0-14 anni), tumore della laringe, del polmone, della pleura, della vescica, del connettivo, dei tessuti molli, linfomi non-Hodgkin e leucemie.

Gli esiti sanitari per cui vi è una "evidenza scientifica suggestiva" di un possibili danno dovuto alle emissioni del siderurgico sono:

malattie neurologiche;
malattie renali;
tumore maligno dello stomaco tra i lavoratori del complesso siderurgico.

Per quanto riguarda la diossina, gli impianti dell'Ilva ne emettevano nel 2002 il 30,6% del totale italiano, ma sulla base dei dati INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) del 2006, la percentuale sarebbe salita al 92%, contestualmente allo spostamento in loco delle lavorazioni "a caldo" dallo stabilimento di Genova[3]. Va però tenuto in considerazione il fatto che il Registro INES, non prevedendo all'epoca sanzioni per omesse dichiarazioni, è molto poco rappresentativo della situazione reale. I dati relativi al 2006, ad esempio, registrano le dichiarazioni di meno di 700 aziende, sulle oltre 7.000 che - secondo le stime - sarebbe state tenute a presentarle. Inoltre solo 5 hanno comunicato al registro di emettere diossina[4]. L'incidenza del 92% è quindi calcolata su tale esiguo numero di aziende. Ilva, nelle sue dichiarazioni ufficiali, indica nel 21% sul totale italiano la percentuale di diossine emessa dall'impianto di Taranto. Va tuttavia aggiunto che l'Ilva ha sempre sottostimato la diossina, dichiarandone al registro INES meno di 100 grammi all'anno, quando invece le rilevazioni Arpa ne hanno riscontrato circa 172 grammi anno nelle misurazioni del 2008. Le ultime rilevazioni rese pubbliche dall'Arpa Puglia, comunque, confermano il progressivo miglioramento della situazione. Dal 1994 al 2011 si è passati da 800 a 3,5 grammi di diossine all'anno. La media di emissione annuale di diossine e furani, nello stabilimento Ilva di Taranto, è stata nel 2011 pari a 0,0389 ngTEQ/Nm3, inferiori al limite di 0,4 stabilito dalla legge regionale “anti-diossina” (l.r. n. 44/2008)[3]. Tali rilevamenti, però, vengono effettuati non anche di notte, sempre preavvisando l'azienda, non in continuo, e soprattutto per soli dodici giorni all'anno (quattro campagne con tre rilevamenti ciascuna): quella di 0,0389 ngTEQ/Nm3 è una media quindi che potrebbe non fotografare esattamente la realtà, considerando anche le decurtazioni del 35% per incertezza. In ogni caso la quantità di diossina riversata nell'ambiente ha reso non pascolabile il terreno attorno all'Ilva nelle aree incolte. Precisamente, un'ordinanza della regione Puglia vieta il pascolo entro un raggio di 20km attorno l'area industriale che, quindi, diventa un serio ostacolo per la crescita delle aziende zootecniche e produttrici di latte e prodotti caseari, oltre che esserlo per tutte quelle aziende di mitilicoltura, se venisse dimostrato il legame delle emissioni industriali anche con la diossina e PCB rinvenute nelle cozze.

La perizia epidemiologica si conclude con un'affermazione che sintetizza forse nemmeno completamente la reale situazione dell'area ionica: "L'esposizione continuata agli inquinanti dell'atmosfera emessi dall'impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell'organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte".
Ordinanza di sequestro

Il 26 luglio 2012 il GIP di Taranto dispone il sequestro senza facoltà d'uso dell'intera area a caldo dello stabilimento siderurgico Ilva. I sigilli sono previsti per i parchi minerali, le cokerie, l'area agglomerazione, l'area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi.[5]

Il 30 luglio 2012 i carabinieri del NOE di Lecce notificano il provvedimento di sequestro.[6][7]






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Per i sindacati la proprietà è disponibile al dialogo (nel loro comunicato si legge: E’ volontà dell’Impresa proseguire tutte le attività produttive coniugando la tutela del lavoro, della salute e della sicurezza, dell’ambiente interno ed esterno e a tal fine rafforzare il dialogo ed il confronto negoziale con il Sindacato, le Istituzioni ed il Governo.)

Ecco come, tentando di corrompere un consulente che doveve redigere la perizia per il tribunale

http://corrieredelmezzogiorno.corri...679609.shtml

l provvedimento del gip Todisco
Nelle carte i sospetti della Procura
"Per perizia falsa 10mila euro a un prof"
Doveva redigere una consulenza sull'inquinamento
Il consulente ritirò una busta da un funzionario Ilva

TARANTO - Sino a ieri sera erano tecnicamente in fase di notifica gli otto mandati di cattura per altrettanti vertici Ilva, tra dirigenti e capireparto. Stessa sorte per il decreto di sequestro preventivo delle cokerie e dei parchi minerari senza possibilità d’uso. Al di là delle misure restrittive, da scontare ai domiciliari, intestate a Emilio Riva e soci, i reati contestati a vario titolo vanno dal disastro ambientale colposo e doloso all’avvelenamento di sostanze alimentari, dall’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro al danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. Gli impianti dell’acciaieria per i quali si dispone il sequestro con il fermo delle funzioni, sono quelli dell’area parchi, area cokerie, area agglomerato, area altoforno, area acciaieria e area Grf. Praticamente tutta la produzione a caldo. Le due ordinanze firmate dal gip Patrizia Todisco del Tribunale di Taranto su richiesta della procura della Repubblica (procuratore capo Franco Sebastio, aggiunto Pietro Argentino e sostituto Mariano Buccoliero), contengono una mole impressionante di dati sull’inquinamento e sugli effetti sull’ambiente, sull’uomo e sugli animali che diventa difficile persino descriverne la sintesi.

IL SOSPETTO DI CORRUZIONE - Assai inquietante, infine, è il racconto descritto nella parte finale dell’ordinanza che giustifica la misura restrittiva degli indagati in quanto possibili inquinatori di prove. La vicenda riferisce un incontro avvenuto in circostanze assai sospette tra un dirigente dell’Ilva e un professore incaricato dalla Procura di redigere una consulenza sull’inquinamento. Nella circostanza, ripresa dalla Guardia di Finanza, il ricercatore barese Lorenzo Liberti, ritirò una busta bianca dal funzionario Ilva il quale quella mattina si era fatto consegnare dall’azienda la somma in contante di diecimila euro.

LE RESPONSABILITA' - Serve bene allo scopo il dettaglio del primo capo d’imputazione contestato a tutti gli otto indagati perché «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità di cui sopra, realizzavano con continuità e non impedivano una quantità imponente di emissioni diffuse e fuggitive nocive in atmosfera in assenza di autorizzazione, emissioni derivanti dall’area parchi, dall’area cokeria, dall’area agglomerato, dall’area acciaieria, nonché dall’attività di smaltimento operata nell’area Grf e dalle diverse "torce" dell’area acciaieria a mezzo delle quali smaltivano abusivamente una gran quantità di rifiuti gassosi. Tutte emissioni che si diffondevano sia all’interno del siderurgico, ma anche nell’ambiente urbano circostante con grave pericolo per la salute pubblica. Reati commessi dal 1995 ad oggi». Il materiale probatorio Forse mai come in questo caso sia la pubblica accusa che il magistrato giudicante hanno inserito così tanti riferimenti, anche datati, a conferma delle rispettive tesi accusatorie. Trovano così ampio rilievo, ad esempio, relazioni sull’inquinamento attribuito all’Ilva da parte di enti e istituti di ricerca al di sopra delle parti come l’Arpa e la Asl. E naturalmente informative dei carabinieri del Noe, dell’ispettorato del lavoro, e perizie di parte. Per avvalorare la decisione, quasi scontata, di fermare quelle fonti d’inquinamento, inoltre, i magistrati hanno dato ampio spazio e sottolineato le denunce presentate non solo dalle organizzazioni mediche e ambientaliste ma anche dalle stesse istituzioni politiche come l’ultima denuncia prodotta meno di un anno fa dal sindaco di Taranto, Ezio Stefàno. E naturalmente l’ultima perizia dei tre super esperti della procura che certifica la correlazione tra l’inquinamento prodotto dal siderurgico con l’elevata incidenza di morti, anche di minori, degli abitanti dei quartieri più vicini alla città industriale.

LE PROVE FILMATE - L’inchiesta è ricca anche di riprese video, che documentano abnormi emissioni di fumi, prodotti sia dai carabinieri del Noe sia dalla spina nel fianco dei Riva, Fabio Matacchiera, noto ambientalista autore di numerose denunce video divenute oggetto di verifica da parte degli inquirenti. Secondo i magistrati, inoltre, le misure adottate dall’industria per abbattere le emissioni nocive non risolvono il problema. «Nonostante l’impianto di sinterizzazione dello stabilimento siderurgico di Taranto - si legge - la verifica delle concentrazioni d’inquinanti altamente tossici, quali appunto le diossine, i furani e i policlorobifenili diossina-simili, immessi nell’ambiente», l’Ilva «non ha, a tutt’oggi, dotato il punto di emissione E312 di un sistema di monitoraggio in continuo dei predetti, micidiali inquinanti».

Nazareno Dinoi
--------------------------------------

un interessante video di Fabio Matacchiera lo trovate qui

DAVANTI ALL'ILVA DI TARANTO: COME UN GIACIMENTO DI PETROLIO. INQUIETANTE
https://www.youtube.com/watch?featu...=ktCUH6EjQJo







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Ilva Taranto/ Tensione al tribunale ad arrivo manager arrestati
Martedi, 31 Luglio 2012 - 12:18
Momenti di tensione oggi al Tribunale di Taranto all'arrivo di sei degli otto dirigenti e manager Ilva agli arresti domiciliari su disposizione del gip Patrizia Todisco nell'ambito dell'inchiesta per disastro ambientale. I sei sono arrivati a Palazzo di Giustizia con i furgoni della polizia penitenziaria, ciascuno prelevato nella propria abitazione: era stato, infatti, il magistrato a disporre il loro accompagnamento rigettando l'istanza del loro avvocato che aveva invece chiesto che gli indagati arrivassero liberi. Quando i dirigenti Ilva sono comparsi nel corridoio di Palazzo di Giustizia per recarsi dal gip, sono subito stati circondati da fotografi e cameramen che aspettavano il loro passaggio, ma questi sono stati bloccati, allontanati e spintonati da lavoratori Ilva, a quanto pare capireparto e tecnici, che erano a Palazzo di Giustizia. Ci sono stati alcuni momenti di tensione e solo successivamente e' tornata la calma. Gli interrogatori sono in corso. Il gip aveva chiesto il loro accompagnamento vista la situazione di tensione esistente a Taranto per la vicenda Ilva.
(http://affaritaliani.libero.it/ulti...0&refresh_ce)

Due analisi interessantissime

http://www.ilfattoquotidiano.it/201...vere/311520/

L’Ilva e i lenzuoli delle donne. Per Taranto c’è una terza via: vivere
di Monica Lanfranco | 31 luglio 2012
Quando Christa Wolf mise in bocca a Cassandra queste parole (tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere) lo fece pensando alla guerra. Le donne dello Scamandro, lontane dal palazzo reale dove la natura era bandita, e con essa la vita, sapevano che era necessario, pena la fine dell’umanità, “combattere il male prima, quando ancora non si chiama guerra”. Una visione, questa, mai abbastanza valorizzata e praticata nella quale, negata la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, non si nega invece il motivo del conflitto, ma lo si pone al centro, affinché lo si riconosca, lo si dipani e quindi si costruisca l’alternativa.

Uso questa intuizione preziosa della studiosa tedesca per provare a ragionare sul drammatico caso di Taranto, città che da decenni vive l’atroce contrapposizione tra diritto al lavoro e diritto alla salute, identico dilemma vissuto anche in altri luoghi della penisola, (solo per citare i casi più noti nel tempo): l’Acna di Cengio, le acciaierie di Cornigliano, l’amianto di Casale Monferrato, il progetto Dal Molin, l’alta velocità in Val Susa, il terzo valico in Liguria.

In ognuno di questi casi lavorare ha significato (e significa) contemporaneamente garantirsi un salario ma anche avvelenarsi, e avvelenare la comunità circostante: parlo della diossina all’Acna, delle polveri cancerogene a Genova, dell’asbestosi a Casale, dell’avvelenamento delle falde acquifere a Vicenza, di nuovo dell’amianto per la Val Susa, delle polveri sottili per il terzo valico, tralasciando per brevità molte altre negatività per la salute e i gravi danni ambientali irreversibili in tutte queste situazioni.

Al contrario di altri paesi europei, nei quali lavorare sì, ma non a costo di morire e far morire del medesimo lavoro malsano che sfama, è diventata una priorità senza ombre da molti anni, in Italia siamo ancora alla tragedia della, (in apparenza), insanabile contraddizione tra lavoro e salute, quindi tra lavoro e vita. La parola ‘riconversione’ è ancora un tabù.

Non è un mistero che, oltre e accanto alla scellerata e cinica politica industriale di molti imprenditori, ai quali non importa nulla della salute di chi lavora, ci sono state anche responsabilità sindacali nel non avere in modo limpido e puntuale costruito una cultura del lavoro e dei diritti che connettesse indissolubilmente, senza contrapporre, lavoro e salute: a Genova, per esempio, è noto che negli anni ’80 c’era tensione tra ecologisti e settori sindacali sulla questione delle acciaierie di Cornigliano.
Il lavoro non si tocca, dicevano, l’ambiente viene dopo. Rigettare il discorso ecologista contrapponendo il diritto al lavoro a qualunque altra priorità arriva a dei punti di tragico paradosso: recentemente un sindacalista genovese ha dichiarato, parlando di Taranto, che anche la cioccolata in dosi massicce fa male, minimizzando così la tragedia di vivere immersi nelle polveri nere respirate ogni giorno. Il lavoro, qualunque lavoro e a tutti i costi, la monetizzazione della salute: una forma grottesca di mors tua vita mea, che non vede come sia follia chiudere gli occhi davanti alla inciviltà di una produzione industriale non sicura e malsana.

Come non fare un parallelo con la miope e perversa concezione della vita fine a se stessa e senza qualità? Penso ai temi etici quali l’autodeterminazione nelle scelte riproduttive e di fine vita, che sono state le donne a porre al centro stimolando una riflessione sui limiti e la qualità di quella che dai fondamentalisti di ogni religione viene pensata come vita purchessia, senza definizioni.

‘Vita’ quella di Eluana Englaro, ‘vita’ quella appena concepita, da contrapporre alla donna che la porta in grembo, con la creazione della soggettività dell’embrione portatore di diritti.

E’ stato il movimento delle donne a porre come centrale la necessità di partire dall’esperienza concreta dei corpi per ragionare sui temi etici della vita, della morte e del limite e anche sull’intreccio tra diritto al lavoro e diritto alla salute sono state, (e sono ancora), delle donne a dire parole di verità svelando contraddizioni e aprendo fecondi conflitti.

Donne erano quelle che, negli anni ’80 a Genova, nel quartiere di Cornigliano, non senza fatica e dovendo superare l’ostilità di molti uomini, (spesso i loro stessi compagni, mariti e figli), fondarono il Comitato salute e ambiente.

Iniziarono mostrando i lenzuoli stesi ai davanzali anneriti dalla polvere dell’acciaieria, la stessa che finiva dritta nei polmoni delle loro bambine e bambini, così come oggi le donne di Taranto mostrano la micidiale materia nera che raccolgono in casa, mentre raccontano di vietare ai figli e figlie di giocare nel cortile nelle giornate di vento. Sono maestre le genovesi della scuola Villa Sanguineti, la materna che il progetto Tav del Terzo valico prevede di chiudere perché ne intralcia il percorso: nel caso in cui non la si cancelli i piccoli e il resto della popolazione dovranno ingoiare per anni idrocarburi e polveri sottili a causa dei lavori e del passaggio costante di camion. Sono state le donne di Vicenza a sfilare in silenzio con dei bastoni per le vie della bella città veneta nella quale si sta sviluppando il mostruoso insediamento del secondo aeroporto militare, mormorando il nome del fiume che lentamente morirà nel cemento. Ancora donne le parenti dei morti d’amianto a chiedere che non si ripeta mai più lo scempio velenoso e silenzioso sui corpi di altri esseri umani. Come può essere onesto, compatibile e giusto un lavoro che ammala e uccide?

Sono davvero civiltà e progresso, questi, nei quali o si lavora o si inquina, e si crea contrapposizione tra lavoro e salute, mettendo contro due diritti inalienabili?

http://mobile.ilmanifesto.it/attual.../mricN/8174/

I corni del dilemma
Rossana Rossanda
31.07.2012
«Purché le due cose - difesa dell'occupazione e difesa dell'ambiente - vengano fatte insieme». Così scrive Alberto Asor Rosa, in occasione del dilemma fra chiudere l'Ilva smettendo di contaminare la zona o lasciarla aperta contaminandola. E ricorda che un dilemma simile si era verificato in val di Chiana, sul riuso di uno stabile dismesso, proposto da un'impresa che si occupava di biomasse e che aveva visto gli ambientalisti chianini disturbati da una invasione di disoccupati che volevano lavoro.
Giusto dunque operare insieme per lavoro e natura. Ma a chi si parla? Mi si permetta di protestare quando ci si rivolge, in ugual modo, alla proprietà e agli operai e ai loro sindacati. È un pezzo che anche questi sono accusati di essere stati "sviluppisti", e quindi avvelenatori del pianeta, anche da parte di noti padri della patria. Come se fossero loro a decidere se aprire o chiudere una fabbrica, e a determinarne le linee e l'organizzazione della produzione, nonché la distribuzione. Ma non sono loro affatto! Non essendo in condizioni di investire, può investire e decidere su che cosa produrre sempre e solo la proprietà del capitale. Agli operai non resta che afferrare un salario, se se ne presenta la possibilità, vendendo la propria forza di lavoro; salario con il quale vivono, non avendo altri redditi, e del quale quindi non possono fare a meno. La fabbrica inquina o, peggio, infetta? Non sono loro né a infettare né a smettere di infettare, non hanno scelta se non combattere, come hanno fatto al Petrolchimico di Marghera.
Ma è difficile chiedere loro di cambiare l'azienda, da cui traggono quel misero salario in cambio di niente. Ed è perfettamente ipocrita chiedere loro di produrre pulito, produrre ecologico. Essi non hanno scelta, e se sono messi davanti a quella di perdere il lavoro o rischiare di avvelenarsi, rischieranno prima di avvelenarsi, salvo battersi poi per rischiare di meno. Non possono fare altrimenti.
Per questo non parlerei di alleanza fra operai e capitale. Nella difesa di una produzione sporca, gli operai non sono "alleati" con la proprietà sono "ricattati" dalla proprietà. Quando Viale o altri dicono: si produca meno o si passi a una produzione ecologicamente sana, si cessi di inquinare il pianeta, a chi parlano? Seriamente? Seriamente possono parlare soltanto alla proprietà, privata o pubblica, diretta o per azioni, nazionale o multinazionale, e solo ad essa, i salariati non potendo decidere né che cosa né come né dove produrre. Sì, qualche volta hanno cercato di farlo, come nel '69, ma sono stati sconfitti dai padroni, dal governo, dalla stampa, in nome della democrazia, e la loro lotta è stata subito dopo resa sempre meno possibile dai licenziamenti in massa che sono seguiti. CONTINUA|PAGINA4 Chi si ricorda che la Fiat aveva allora 129.000 dipendenti? Ora, ci informa Gabriele Polo, ne ha circa 15.000. L'operaio è meno di un uomo libero, lo è meno di un altro cittadino.
Da un mese a questa parte, dopo la vittoria dei socialisti in Francia - socialisti, non bolscevichi, anzi un po' meno di socialdemocratici delle origini - il padronato dichiara in difficoltà una dozzina di grandi imprese. E ristruttura. Licenziando. Esempio: la Psa automobili (Peugeot +Citroen) ha annunciato ottomila "esuberi", tra l'altro chiudendo del tutto il sito di Aulnay, alla periferia di Parigi, del quale ha occupato più di metà della superficie. Poiché per un occupato nell'automobile licenziato si calcolano altre quattro perdite di posti di lavoro (dal panettiere, macellaio, fruttivendolo del sito, all'indotto vero e proprio) la Psa decide dunque di aumentare i disoccupati di circa 35.000 persone. Il governo protesta, e si dichiara disposto a una serie di aiuti soltanto a condizione che la Psa imposti la produzione in vetture elettriche, riducendo il noto inquinamento della benzina o diesel. Zac, il presidente del consiglio d'Europa, Rompuy, assieme all'altra testa fina che dirige la Commissione, Manuel Barroso, aprono un'inchiesta se ha diritto di farlo o no, per le conseguenze che questa condizione potrebbe avere sul mercato. L'altra grande azienda automobilistica, la Renault, che ha probabilmente commesso meno errori nella produzione, ha fatto in questi giorni un contratto con la Corea per le batterie che le servono per la medesima, il governo si dice d'accordo, ma a condizione che la proprietà coreana produca in Francia. Apriti cielo, protezionismo!
Nessuno osa dire in questo luglio fatale: menomale che meno automobili escono dalla fabbrica. Fanno troppo spavento le facce stravolte di chi ha lavorato dieci o venti anni per Peugeot o Citroen e si sente dire di colpo che sarà licenziato, e sa che di lavoro difficilmente può trovarne un altro. Ma nessuno neanche dice che i responsabili di questo disastro umano, e del peso che ne deriverà per i conti pubblici, sono i signori del Cac 40, le proprietà quotate in borsa. I "mercati" sembrano incorporei, quanto per il Vaticano lo spirito santo, che come loro spira dove vuole.
Si deve essere ecologisti. Ma quindi anticapitalisti. O, come minimo, sostenitori di una primazia del pubblico sull'economico, in modo da determinarne l'indirizzo e la non dannosità per l'ambiente. Perché non si dice anche questo? Perché dal 1989 in poi non si ha più coraggio di dire nuda e cruda la verità sul meccanismo dell'impresa del capitale, nonché sulla rinuncia della sfera politica, continentale o nazionale, a controllarle.
Per l'Ilva, come qualche anno fa per la val di Chiana, non c'è dilemma fra lavoro e ambiente, c'è un sistema di proprietà, accettato dalle ex sinistre, che distrugge l'uno o l'altro, o tutti e due.






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continua la discussione tra capitale / lavoro / tutela di ambientee salute.
U'altro splendido contributo

http://www.globalproject.info/it/in...rapide/12049
La vicenda Ilva di Taranto ed il conflitto tra capitale/lavoro/salute
Nuvole rapide
di Antonio Musella

30 / 7 / 2012

Immaginare il paesaggio della propria terra, del luogo dove dovresti essere felice, dove svolgi il tuo lavoro, è un elemento iconografico importante che determina il livello della felicità nell’essere umano. Lo skyline della città di Taranto è composto da un lato da due mari : il mare grande ed il mare piccolo, con il ponte girevole che separa le due parti della città dei due mari. Dall’altro lato, verso l’interno, ci sono una ventina di ciminiere e quelle nuvole che costituiscono la cappa di veleni che soggioga la città.
E’ veleno per chi lo sa. E’ sviluppo per chi non vuol vedere.
All’Icmesa di Seveso ufficialmente producevano fertilizzanti. Nessuno in quel paese della Brianza poteva mai immaginare il volto brutto e cattivo della fabbrica. Era sviluppo, era benessere, non poteva esserci, in quel sogno tecnologico e moderno, un lato oscuro che avesse a che fare con il veleno. Non l’avevano mai immaginato fino al 10 luglio del 1976, quando il reattore dell’Icmesa fece il botto, vomitando diossina su 108 ettari di territorio. Nessuno oggi sembra voler ricordare quella che è stata la prima Chernobyl italiana. In quella fabbrica dove lavoravano decine di operai sbuffarono via 300 grammi di diossina pura capace di distruggere per sempre quel piccolo centro lombardo. Seveso fu evacuata. Le case distrutte, i campi arati per 40 cm. Tutto fu seppellito in una discarica fatta da quattro vasche una sopra l’altra. I veleni del reattore racchiusi in 41 fusti. L’Italia scopriva che il capitalismo produce scorie. Forse è quella la data in cui nel conflitto tra capitale e lavoro fa irruzione l’elemento dell’ambiente/salute. Da quel momento, governi ed imprenditori sono stati ben attenti a manipolare l’informazione, ad omettere il più possibile il lato oscuro della modernità, quelle scorie di produzione che distruggevano le vite di chi lavorava in fabbrica ed i territori dove sorgevano. Quello che sta avvenendo a Taranto in merito alla vicenda dell’Ilva è senza dubbio un fatto complesso. Lo è innanzitutto perché Taranto non è la Brianza. Una città che secondo i piani di espansione demografica legata allo sviluppo che la fabbrica dei Riva avrebbe dovuto portare, sarebbe dovuta diventare, nelle stime di venti anni fa, un centro di oltre trecentomila abitanti. Invece Taranto è ventimila abitanti in meno rispetto al dato demografico in cui furono fatte quelle stime. Un territorio dove il fenomeno dell’emigrazione, come elemento caratterizzante di subalternità del mezzogiorno al Nord del paese, continua ad essere un dramma del presente e non un ricordo. Taranto non è la Brianza dove invece le fabbriche, dopo Seveso, hanno continuato a prosperare trovando posti comodi e sicuri dove smaltire quelle scorie cattive e portarle lontane dagli occhi e dalle preoccupazioni dei cittadini. Proprio nel Mezzogiorno italiano o magari nei paesi africani. Proprio come le scorie e ceneri di alluminio delle Fonderie Riva di Parabbiago, in provincia di Milano, finiti nella discarica di Pianura a Napoli tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta. Taranto resta una città dove il solo lavoro possibile è quello all’Ilva. Un territorio dove i termini del conflitto tra capitale/lavoro/salute si invertono fino ad arrivare all’assurdo di una saldatura di interessi tra padrone ed operai.
Magagne della sussunzione reale del lavoro al capitale.
Un lavoro che significa morire presto. Prima degli altri. Le nuvole rosa provenienti dalle ciminiere dell’impianto siderurgico, dai nastri trasportatori scoperti, dal deposito dei minerali che sembra quasi uno spiazzale dove è accumulato terriccio ed invece sono metalli pesanti, minerali, scoperti lasciati allo sbuffo del vento di Levante, arrivano sulla città costantemente. Non ci sono fusti di colore sgargiante che escono dalle fabbriche su dei camion. Tutto è nell’aria e ciò che si vede poco, si sa, preoccupa sempre meno. Qui non c’è stata una Seveso, nonostante i continui incidenti che hanno caratterizzato la vita della fabbrica, nonostante le immense nuvole cariche di metalli pesanti che si sono rovesciate sulla città ad ogni errore nella produzione, ad ogni guasto all’impianto. Non c’è stato uno shock che abbia prodotto una presa di coscienza collettiva su come quella fabbrica stia uccidendo la città ed i suoi cittadini. Li uccide lentamente. Senza botti. Non c’è un reattore che esplode e centinaia e dei corpi che cadono in terra. Anche se a Taranto tutti lo sanno che la fabbrica fa male. Fa morire presto. Lo sanno ma lo nascondono, come una verità scomoda che ti fa arrossire e di cui ti vergogni. Al tempo stesso agisce un elemento di rimozione del problema frutto del ricatto del padrone che concede il solo lavoro possibile. La vicenda dell’Ilva abbiamo detto che è complessa ed è giusto che sia il territorio ad indagarne le contraddizioni ed a raccontare ciò che succede.
Questa vicenda però ci dice chiaramente alcune cose.
La prima è che non possiamo più immaginare il tema della salute come elemento estraneo alla lotta di classe. La Fiom, che da alcuni anni ha cominciato a parlare di riconversione ecologica, di salute dei lavoratori e del territorio come elemento centrale di un piano di rivendicazioni complessive degli operai, fa fatica ad articolare come pensiero forte questi assunti, sebbene colga la contraddizione di un conflitto tra lavoro e salute, denunciando con forza le responsabilità della proprietà dell'Ilva "assistita" per anni dai finanziamenti pubblici. A farsi sentire sono quei sindacati, come la Cisl e la Uil che “difendono il lavoro contro gli ambientalisti”. Quei sindacati complici dei padroni dell’Ilva che non vedono come gli elementi stessi del conflitto sindacale siano completamente sovvertiti quando quelle che dovrebbero essere le organizzazioni degli operai hanno gli stessi interessi del padrone. Non considerare l’elemento della salute come parte integrante del conflitto tra capitale e lavoro, dove la salute da tutelare è quella degli operai, del territorio e di chi lo vive, significa anche rinunciare ad una funzione di formazione rispetto al territorio a cominciare da chi in fabbrica ci lavora. Se oggi a Taranto, e non solo, si parla di difendere il lavoro contro la salute e l’ambiente è perché negli anni proprio i sindacati tutti hanno rinunciato a considerare quell’elemento come parte della lotta di classe.
La seconda è che ogni volta che si parla di necessità di immaginare un modello di sviluppo alternativo a quello esistente non possiamo continuare ad agire sul piano dell’astrazione. Le infinite contraddizioni della vicenda dell’Ilva devono farci capire che si deve avere sempre il coraggio di stare da una parte. Produrre acciaio inquina. Non esiste possibilità di produrre acciaio salvaguardando la salute del territorio. Per questo difronte a queste divaricazioni non può esserci nessuna via di mezzo, non può esserci nessuna chimera riformista per rendere il gigante di veleno un gigante buono. Bisogna stare da una parte. O dalla parte degli interessi di chi vive e muore sul territorio – tra cui anche chi in fabbrica non ci lavora - oppure dalla parte dei padroni che agiscono il ricatto del lavoro come strumento di calmierazione dei conflitti.

A Seveso i cittadini continuarono ad essere terrorizzati per anni da quei 41 fusti di rifiuti tossici frutto dello smantellamento del reattore dell’Icmesa.
Nell’estate del 1982 fu comunicato ai cittadini di Seveso che i rifiuti erano andati via per sempre. Non fu detta la destinazione. L’importante era farli sparire per far tornare la tranquillità. Vagarono in tutta Europa con la complicità del governo democristiano, di faccendieri e servizi segreti di mezzo continente, mentre le 4 vasche con i rifiuti di tutta l’area inquinata dall’Icmesa restarono proprio lì. L’importante era dare parole di tranquillità per continuare a mostrare il volto buono della produzione industriale.
C’è da scommetterci che tra qualche giorno ai cittadini di Taranto sarà comunicato che sono state varate misure che permettono di riprendere la produzione senza inquinare. Tutti saranno tranquilli. O magari (speriamo!) no.
Cose che passano veloci. Come le nuvole cariche di veleni.
Nuvole rapide.






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mentre gli arrestati davanti al giudice si avvalgono della facoltà di non rispondere.... (mostrando la reale volontà di collaborazione )
continua il dibattito

http://www.agoramagazine.it/agora/s...article30339

Taranto crisi Ilva
Un manifesto 3x6 per urlare : siamo fieri della magistratura e con gli operai !


mercoledì 1 agosto 2012 di Redazione Ambiente

Riceviamo e pubblichiamo nota congiunta dei comitati “LEGAMJONICI” e “TARANTO LIDER’’ in ordine alla vicenda ILVA. Ecco il testo. " dal 2 agosto e per 14gg, in via Medaglie d’oro angolo Via Marche, a 2 passi dal Tribunale di Taranto, vi sarà affisso un manifesto 3x6 che urlerà un messaggio sociale: SIAMO FIERI DELLA MAGISTRATURA E CON GLI OPERAI!

Alla luce dell’attuale ordinanza - continua il comunicato - emessa dal magistrato, con il quale si ordina il sequestro di sei impianti dell’Ilva, ci rendiamo conto di trovarci in un momento storico per la città di Taranto e noi come cittadini non possiamo che esprimere tutta la nostra stima e incondizionata riconoscenza al lavoro encomiabile e all’integrità morale dei magistrati e dei periti per aver fatto emergere e cristallizzato la drammatica situazione della città di Taranto già nota, ma da molti, in particolare dalle istituzioni e sindacati, volutamente tenuta in sordina. L’ordinanza di sequestro dell’impianto Ilva di Taranto è una infusione di speranza per il futuro, un futuro che tuteli la salute dei nostri bambini ed al contempo tuteli gli operai che lavorano nello stabilimento. Esprimiamo il nostro appoggio all’operato dei magistrati che finalmente impongono “l’immediata adozione, a doverosa tutela di beni di rango costituzionale che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta quali la salute e la vita umana, del sequestro preventivo’’.

Irresponsabili sono coloro che contrappongono i cittadini consapevoli ai lavoratori. I lavoratori e le loro famiglie sono i primi a conoscere ed a subire i danni degli innumerevoli inquinanti prodotti dalla grande industria, come anche riportato nella perizia epidemiologica.

Oggi il nostro impegno - concludono le associazioni - sarà tutto rivolto a restare uniti, cittadini e lavoratori per sostenere la Magistratura nel suo compito di indagine e condanna dei colpevoli del disastro ambientale e sanitario di Taranto. Dalla politica ora pretendiamo che preveda:

1.Tutela della salute e dell’occupazione. I lavoratori devono essere ricollocati in attività economiche più salubri.

2.Dismissioni delle aree più inquinanti.

3.Sviluppo di attività economiche che valorizzino le vere vocazioni di Taranto: piccole e medie imprese del turismo (culturale, enogastronomico, sportivo), delle energie rinnovabili, del risparmio energetico, della mobilità sostenibile, del porto ed aeroporto, del ciclo dei rifiuti, delle bonifiche, dell’agricoltura biologica, della pesca/mitilicoltura.






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finalmente degli operai con le idee chiare che hanno capito molto bene la situazione

https://www.facebook.com/photo.php?v=4390158390745

IRROMPE SUL PALCO L'AMICO "ZITO" E ZITTISCE I SINDACATI....MITICO
QUESTO VIDEO E PER CHI ACCUSA GLI OPERAI DI ESSERE DEI BURRATINI DI RIVA....LA RABBIA DELL'AMICO COLLEGA FRANCESCO ZITO E' IL VERO SPECCHIO ATTUALE DI OGNI SINGOLO OPERAIO ILVA E NON DEI FALSI IPOCRITI E VENDUTI SINDACALISTI......
-----------------------------------------
http://lists.peacelink.it/news/2012...sg00006.html
un appello che condivido al 100%

Ilva, lettera aperta di PeaceLink a Cgil, Cisl e Uil

Ai segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi
Angeletti

Ai segretari nazionali dei sindacati metalmeccanici Fiom, Fim, Uilm, Maurizio Landini,
Franco Bentivoglio e Rocco Palombella


LETTERA APERTA DI PEACELINK


Migliaia di lavoratori Ilva sono sfilati a Taranto ed e' importante dire parole di
verita'.

In primo luogo va ricordato che a Taranto ogni mese muoiono due persone in più per
inquinamento industriale.

La decisione della magistratura tarantina è inevitabile dopo la perizia epidemiologica
consegnata al gip Patrizia Todisco che parla di 386 morti in 13 anni causati
dall'inquinamento delle ciminiere: più di 30 ogni anno.

Chi ha il coraggio di ignorare questi dati?

I sindacati avrebbero dovuto manifestare sfilando prima.

La verità è che ora e' tardi per salvare impianti concepiti cinquanta anni fa e che oggi
nessuna nazione civile autorizzerebbe a cosi' poca distanza dalle case.

Nel quartiere Tamburi i bambini sono costretti a "fumare" un equivalente di mille
sigarette all'anno (sono calcoli scientifici noti da tempo). Inalano benzo(a)pirene
cancerogeno in quantita' inaccettabile.

Non è possibile che di fronte ai numeri della strage silenziosa emersa dalle pagine dei
periti non scatti un moto di indignazione e di protesta paragonabile a quello odierno. I
dati forniti dai periti della magistratura sono terribili. Ricordano arcaici sacrifici
umani, che si rinnovano oggi in nome del profitto.

Questa strage vergognosa non puo' e non deve proseguire.

Abbiamo una Costituzione che difende la salute e la vita come una priorita' assoluta.

Noi stiamo dalla parte della Costituzione e dalla parte della magistratura, che sta
agendo in suo nome.

Sono percio' inaccettabili le parole di Angeletti dette oggi a Taranto dal palco: "Noi
non possiamo accettare la chiusura dell-lva per nessuna ragione e per nessuna
motivazione" (intervento registrato dal Tg3 ore 14 di oggi).

Quando un impianto danneggia gravemente la salute va fermato. Se il sindacato dovesse
fare fronte comune con l'azienda per ostacolare le ordinanze della magistratura
diventerebbe un'organizzazione che mina i principi della legalita' costituzionale.
Ci auguriamo che mai accada una cosa del genere.

Non vi basta vedere come i dirigenti Ilva arrestati si sono avvalsi della facolta' di non
rispondere alle domande del Gip? Cosa aspettate a prendere le distanze da questa gente
con cui vi siete seduti ai tavoli tecnici e sindacali per concertare la cosiddetta
"ambientalizzazione" di impianti che ora sono sotto sequestro?

I lavoratori devono sapere: attorno all'Ilva per un raggio di venti chilometri e' vietato
dalla Regione il pascolo libero in zone incolte perche' il terreno e' contaminato da
diossine e policlorobifenili. Parliamo di inquinanti persistenti con effetto cancerogeno
e che hanno il potere di danneggiare il dna che viene trasferito dai genitori ai figli.

Dal 2008 sono state abbattute duemila pecore e capre perche' contaminate da diossine e
pcb e gli allevatori sono rimasti senza lavoro.

Nel 2011 sono stati distrutte grandi quantità di cozze, contaminate da diossine e pcb,
colpendo famiglie di miticoltori che lavoravano da decenni.

Perche' in questi casi le organizzazioni sindacali non hanno promosso cortei, pur essendo
in gioco il diritto al lavoro?

E' terribile sapere che per decenni sono state vendute e consumate tonnellate di cibo
contaminato da diossine e pcb a una popolazione ignara del pericolo.

Quando la magistratura interviene per spezzare questo meccanismo infernale, ne è
costretta, dal momento che gli amministratori non hanno predisposto i controlli efficaci
che sarebbero serviti, viceversa compiuti in molti casi da associazioni di cittadini.

In nome del proprio diritto al lavoro non si può decretare la morte di altre persone e la
distruzione del futuro di una citta'.

Cambiare si puo' ed e' per questo che vi scriviamo. Si puo' fare qualcosa di legittimo e
positivo: disinquinare, bonificare, recuperare il territorio agli usi civili.

L'opera di bonifica del terreno attorno all'Ilva e' vastissima e richiede non meno
lavoratori di quanti ne impiega oggi l'Ilva.

Urgente e' la messa in sicurezza d'emergenza della falda acquifera che sotto l'Ilva si
sta contaminando.

Ogni mese di attesa rende più alti i costi futuri di bonifica del sottosuolo.
Non meno impegnativa e' la bonifica del mare dove non si puo' più praticare la
pregevolissima mitilicoltura, un tempo rinomata in tutto il mondo.

Anche il Lungomare andra' bonificato e recuperato alla balneazione e anche questo e'
lavoro.

Siete stati a Taranto e vi avranno avranno detto che la situazione sta migliorando.

Questa e' una versione di comodo, non e' la realta'.

Infatti la legge regionale sulla diossina - pur utile indispensabile per rallentare la
contaminazione - non alleggerira' di un solo grammo il peso di tutta la contaminazione
del territorio e del mare accumulata in cinquant'anni.

Se la situazione stesse migliorando a Taranto, nel 2010 non sarebbe stato approvato un
articolo di legge che tutti hanno battezzato "salva-Ilva" (nel dlgs 155/2010), perchè ha
modificato la norma legge che fissava un limite invalicabile al benzo(a)pirene (e la
legge regionale che è stata approvata non riesce a porre un vero e proprio rimedio).

Nel 2011 nel quartiere Tamburi e' stato superato il limite per le polveri sottili (pm10)
e questo si ripeterà nel 2012 perche' le centraline Arpa hanno gia' registrato sforamenti
eccessivi e frequenti.

Dove e' dunque il miglioramento a Taranto di fronte ai ripetuti e persistenti superamenti
di polveri e benzo(a)pirene? In che modo pensate di rimuovere tutta la diossina che si e'
depositata attorno e dentro la fabbrica, e persino in fondo al mare, se non si procede ad
una bonifica?

E quale migliore occasione per poter reimpiegare gli stessi lavoratori dell'Ilva?

Sarebbe assurdo non cogliere questa opportunita' e scegliere ciecamente la difesa di
impianti obsoleti, inquinanti e pericolosi.

Se la vostra visuale e' il passato condannate i lavoratori alla sconfitta e la citta' a
una spaccatura insanabile e dannosa.

Se la vostra prospettiva e' il futuro, la soluzione delle bonifiche e' a portata di mano
e puo' contare sui fondi strutturali europei che - se non usati per le bonifiche -
cesseranno il 31 dicembre 2013. Occorre dunque far presto e mettere in campo un progetto
che veda i lavoratori dell'Ilva protagonisti del disinquinamento. Occorre fare come nella
Ruhr in Germania dove e' stato compiuto un provvidenziale ed efficace recupero civile e
paesaggistico delle aree degradate dall'inquinamento. Ora la Ruhr e' rinata ed e' un polo
attrattivo.

Occorre tutto il vigore delle maestranze dell'Ilva per replicare a Taranto questo
esperimento virtuoso.

La bonifica andra' fatta anche con i profitti di chi in questi anni si e' arricchito
inquinando senza controllo.

La famiglia Riva dovra' pagare tutti i danni che ha arrecato a Taranto.

Non siate reticenti su questo.
Ditelo ai lavoratori.
Ditelo, con coraggio.

Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
www.peacelink.it








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giuseppe nuovo
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http://www.agi.it/in-primo-piano/no...per_bonifica

Ilva, Riesame conferma il sequestro
"Impianti restano aperti per bonifica"


15:42 07 AGO 2012

(AGI) - Taranto, 7 ago. - Il Tribunale del Riesame ha confermato il sequestro degli impianti Ilva di Taranto vincolandolo pero' alla messa a norma e non alla chiusura degli impianti. Domiciliari confermati per Nicola Riva, Emilio Riva e Luigi Capogrosso.Tornano liberi i dirigenti Ilva Andelmi, D'Alo', De Felice, Di Maggio e Cavallo che erano agli arresti domiciliari. Nel sequestro dell'Ilva c'e' la facolta' d'uso degli impianti finalizzato alla messa norma. Lo ha deciso il Tribunale del riesame presieduto da Antonio Morelli.

GIP, FERRANTE SOSTITUISCE UNO DEI CUSTODI GIUDIZIARI

Nell'Ilva di Taranto restano i tre custodi giudiziari nominati dal gip di Taranto mentre il quarto custode, Mario Tagarelli, presidente dell'Ordine dei commercialisti di Taranto, viene sostituito dal presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante. Tagarelli era stato delegato agli aspetti amministrativi.

CAMERA RICONVOCATA STASERA O DOMANI PER DECRETO

La Camera dei deputati, questa sera o domani, potrebbe essere riconvocata per l'annuncio del decreto legge sull'Ilva di Taranto. E' quanto e' emerso dalla riunione dei capigruppo di Montecitorio. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, ha chiesto in capigruppo che la Camera fosse riconvocata per l'annuncio del decreto, varato all'ultimo Consiglio dei Ministri di venerdi' scorso, ma che manca ancora della firma del Capo dello Stato.
"Siamo incerti - ha spiegato Giarda - se riusciremo a presentarlo gia' questa sera o domani mattina". Il decreto sull'Ilva di Taranto, che sara' presentato alla Camera tra stasera e domani, sara' assegnato alla commissione competente, ma l'esame del provvedimento iniziera' a settembre. Nel calendario di massima stilato oggi dalla conferenza dei capigruppo, infatti, figura che nella settimana dal 10 al 14 settembre dovrebbe essere inserito in calendario d'Aula il decreto sulle bonifiche nelle aree inquinate nel sito di interesse nazionale di Taranto.

-----------------------------------------------------------

http://www.legambientepuglia.it/news.php?id=505

Ilva, Riesame conferma sequestro impianto e gravità della situazione. Fondamentale la nuova Aia
07/08/2012

“La conferma del sequestro anche se con diritto d’uso e degli arresti dei proprietari dell’azienda conferma l’impianto accusatorio del grave inquinamento ambientale causato dall’impianto. La strada tracciata dal Tribunale del Riesame è quella che prevede un forte e rapido ammodernamento degli impianti che per Legambiente deve avvenire attraverso una nuova Aia, che obbligherebbe l’azienda a procedere agli interventi. Gli atti d’intesa firmati negli anni scorsi a Taranto tra l’Ilva e le Istituzioni locali e nazionali ci hanno, infatti, insegnato che con l’azienda il gentleman agreement, come dimostrano le dichiarazioni di ieri di Ferrante, non funziona e che l’Ilva intraprende azioni per diminuire le proprie emissioni inquinanti solo se costretta”, così dichiara Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente Nazionale in merito alla decisione presa oggi dal Tribunale del Riesame che ha confermato il sequestro del polo siderurgico di Taranto.

“Non bastano – aggiunge Cogliati Dezza - le quattro modifiche impiantistiche di cui si è parlato ieri nella riunione tra enti locali e azienda, ma a nostro parere, come già ribadito con le nostre osservazioni inviate al ministro dell’ambiente Corrado Clini subito dopo la riapertura del procedimento di Aia dello scorso marzo, sono 26 i punti sostanziali e irrinunciabili da adottare nell’impianto e nelle pratiche operative per ridurre efficacemente le emissioni”.

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http://verdi.it/not2011/item/30591-...-faglia.html

Martedì 07 Agosto 2012 04:01
PRONTO UN NUOVO ESPOSTO SULLA MANCATA MESSA IN SICUREZZA DELLA FALDA
Autore: Stefania Lopedote


IL TRIBUNALE DEL RIESAME CONFERMA IL SEQUESTRO

L'area a caldo dell'Ilva, la più responsabile delle emissioni inquinanti che da decenni avvelenano il tarantino, deve rimanere chiusa. Questa la decisione presa oggi dal Tribunale del Riesame incaricato di pronunciarsi sui ricorsi presentati dall'Ilva contro la chiusura dei reparti e dai difensori degli imputati contro le misure cautelari contro di loro. I giudici si sono riservati di depositare le motivazioni dell'ordinanza, che dovrebbero essere diffuse nei prossimi giorni. Ma intanto il Tribunale ha chiarito che non si tratta – almeno al momento - di chiusura definitiva ma di messa in sicurezza. «I custodi garantiscano – si legge - la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti». Insomma il decreto impugnato dall'Ilva è sostanzialmente confermato.
Si dice soddisfatto il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli, che stamattina ha anche rilasciato un'intervista al quotidiano 'La Repubblica' sulla vicenda Ilva di Taranto (leggi l'intervista). «Il Tribunale del Riesame – ha detto Bonelli commentando la sentenza - ha confermato l'impianto accusatorio della Procura e la gravità di una emergenza ambientale e sanitaria senza precedenti. Dal nostro punto di vista, che si basa sulle perizie della procura, la cokeria risulta incompatibile con la salutedei cittadini che dovrebbe essere il primo bene da tutelare». Tanto per dare alcuni dati: «Pe­ri­zia chi­mi­ca – ricorda Bonelli durante l'intervista a Repubblica - ri­le­va­zio­ni giu­gno 2011-­gen­na­io 2012: 'In que­sto ar­co di­tem­po gra­vis­si­me vio­la­zio­ni del­le leg­gi sul­l'in­qui­na­men­to'. Pe­ri­zia epi­de­mio­lo­gi­ca, ri­le­va­men­ti 1998-2010: 'In 12 an­ni per i la­vo­ra­to­ri del­l'Il­va c'è sta­to un au­men­to del 107% dei tu­mo­ri al­lo sto­ma­co'.»

Il governo con le parole del ministro Clini ieri e di Passera oggi continua a sottovalutare la gravità della situazione sanitaria di Taranto dove secondo la procura si ci 'ammala e si muore' di inquinamento.

«Le prescrizioni dei magistrati sono state confermate integralmente e quindi la produzione va sospesa - prosegue il leader ecologista -. Il governo farebbe bene a predisporre un piano di conversione industriale come è avvenuto a Pittsburgh e a Bilbao, città che hanno cambiato il proprio modello economico, che hanno vinto la battaglia contro l'inquinamento e ora rappresentano delle eccellenze per innovazione e qualità della vita. Per quanto riguarda la situazione dell'Ilva – conclude Bonelli - ci sono altri aspetti su cui chiederemo l'intervento della magistratura. In particolare presenteremo un esposto sulla mancata messa in sicurezza della falda sulla quale, a norma del Dlgs 152/2006, bisognava intervenire».






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